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ACCIUGHE IN CARPIONE E ZERRI SOTTO PESTO PER IL CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB

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Giornata Nazionale del PESCE IN CARPIONECalendario del Cibo Italiano Aifb, ambasciatrice Alessia Massari del blog My Iummy

Il carpione o secondo le varie denominazioni regionali italiane: scapece, scaveccio o saor, è una tecnica  di conservazione antica che sfrutta le proprietà antisettiche e disinfettanti dell'aceto per conservare soprattutto piccoli pesci sia di lago/fiume o mare ma anche verdure e carni che vengono prima fritte e poi coperte con una soluzione a base appunto di aceto ma anche vino erbe e spezie varie. Fra i piatti più noti: le sarde in saor veneziane, l'anguilla o i pesci dei laghi del nord Italia in carpione, le acciughe in carpione della Liguria, gli scapece con zafferano di Abruzzo e Puglia. 
Per approfondimenti storico-culturali e tecnici consiglio di leggere il post di Alessia.

Per onorare questa giornata dedicata al carpione, ripropongo due ricette: una mia personale interpretazione delle tradizionali acciughe in carpione liguri e una ricetta poco conosciuta di un carpione in uso a Livorno, gli zerri sotto pesto, dove per "pesto" nella cucina labronica si intende un pesto di aglio, olio evo, peperoncino e prezzemolo ma che, in questo caso, a causa della presenza di aceto e vino bianco, in realtà è un vero carpione.

Un'altra proposta è una reinterpretazione un po' più complessa,  molto libera, se non ardita, dello Scapece alla Gallipolina, che per Poverimabelliebuoni è diventato: Scapece espresso tra gallipolina e saor 


ACCIUGHE IN CARPIONE AGRODOLCE CON CRUMBLE DI LISCHE FRITTE


Per il carpione ligure, in molti testi ho trovato vino bianco e aceto bianco, aglio e cipolle ed erbe tritate finemente (chi alloro, rosmarino ed origano, chi solo salvia), io ho preferito usare solo le cipolle  tagliate ad anelli, appena scottate in agrodolce, cioè con vino bianco, aceto di mele, sale e zucchero, le erbe le ho aggiunte al carpione a tocchetti e poi le ho tolte al momento del servizio, aggiungendo foglioline di origano fresco che adoro e che  offrono un ulteriore richiamo alla Liguria (come la maggiorana) così come i pinoli. Le margherite pratoline, o Bellis perennis,  hanno una funzione più che altro decorativa ma sono commestibili (anche le foglie sono molto buone in insalata, succose e grassocce).


Ingredienti per 4 persone - antipasto
800 g d'acciughe fresche (peso lordo)
20 cl di aceto di mele
20 cl di vino bianco secco (preferibilmente un vermentino Golfo del Tigullio-Portofino Doc)
1 cipolla rossa grande
1 cucchiaio di zucchero di canna
1/2 cucchiaino di sale fino
un cucchiaio di grani di pepe nero
5-6 foglie d'alloro fresco, un rametto di rosmarino, qualche rametto di origano fresco
Una manciata di  pinoli o mandorle tritati
Farina bianca 0 qb
Olio extravergine d'oliva ligure per friggere qb

Togliere la testa, eviscerare e diliscare le acciughe, lasciando la codina (è coreografica e se volete mangiarle con le mani si prendono appunto per la coda), metterle in acqua e ghiaccio per almeno mezz'ora per far perdere tutto il sangue. Pulire bene le lische e sottoporle allo stesso trattamento in acqua e ghiaccio.  Aprire le acciughe a libro e stenderle su carta assorbente. Tamponare con carta assorbente anche le lische e passarle in forno a 150° C per 20 minuti ca.

Preparare la bagna agrodolce facendo scaldare in padella antiaderente 2 foglie d'alloro sminuzzate grossolanamente e qualche ciuffo di rosmarino con una cucchiaiata abbondante di olio, aggiungere le cipolle tagliate a rondelle, rosolare un poco, unire il vino e l'aceto, qualche granello di pepe tritato grossolanamente, lo zucchero e il sale e lasciar andare per circa 5 minuti.

Infarinare le acciughe e friggerle in abbondante olio extravergine d'oliva a 180° C, mettendone poche alla volta e controllando la temperatura in modo che si mantenga costante. Prelevarle con una schiumarola e metterle ad asciugare su carta assorbente per fritti.

Da ultimo friggere anche le lische. Farle asciugare e poi sbriciolarle schiacciandole con una forchetta o con le mani.

Disporre le acciughe fritte in una pirofila, versarvi sopra la marinata tiepida in modo uniforme con tutte le erbe e le cipolle. Lasciar insaporire per almeno 12 ore, fuori dal frigorifero, in luogo asciutto e fresco.
Al momento di servire, con una pinza da cucina togliere i tocchetti di alloro, il rosmarino e i grani di pepe più grossi. Disporre qualche foglia di alloro fresco nel piatto da portata, adagiarvi sopra le acciughe, coprire con le rondelle di cipolle prelevate dalla marinata, cospargere con il crumble di lische fritte e la granella di pinoli (o mandorle), guarnire con foglioline di origano fresco, fiori eduli come margherite (meglio ancora fiori di acetosella gialli)

NOTA: per il carpione di solito si sconsiglia l'abbinamento col vino per la presenza dell'aceto ma questo risulta, nel suo insieme agrodolce,  quindi si può provare lo stesso vermentino della marinata o cambiare regione e rivolgersi ad un riesling dell'alto adige,  fruttato e succoso con vivace acidità che notoriamente sposa l'agrodolce. E comunque, degustibus......


ZERRI SOTTO PESTO LIVORNESE


Gli zerri sono pescetti molto saporiti piuttosto comuni nelle acque del Mar Tirreno. Non superano i 10 cm di lunghezza, quando sono molto piccoli, si friggono e si mangiano interi!
Gli zerri sotto pesto sono un classico della cucina di mare livornese. Come ho già detto sopra, a Livorno per "pesto" si intende solitamente una marinatura con aglio, olio evo, prezzemolo e peperoncino. 
Questa versione mi è stata consigliata dalla titolare della pescheria dove mi servo abitualmente.  La particolarità di questa ricetta è la presenza del rosmarino anziché dell'onnipresente prezzemolo.


E' una non ricetta in realtà, le dosi non me le sono appuntate ma insomma si va a occhio!

zerri
farina 0
olio extravergine d'oliva qb dal gusto delicato 
aglio, aceto di vino bianco, vino bianco
aglio
peperoncino dal piccante delicato tipo Aji o Banana pepper
rosmarino
sale

Scaldiamo l'aglio a fettine con un po' di olio, il peperoncino e qualche ciuffo di rosmarino fresco. Aggiungiamo vino bianco e aceto di vino bianco, portiamo ad ebollizione e poi spegniamo.

Evisceriamo e squamiamo gli zerri, infariniamoli e friggiamoli in olio evo a 170°-180° C,
scoliamoli su carta per fritti, disponiamoli poi in un contenitore e irroriamoli con la marinata calda.
Facciamoli riposare almeno mezza giornata fuori dal frigorifero prima di consumarli ma saranno ancora più buoni il giorno successivo!










CRUDO DI SUGARELLO E NASTURZIO

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Non sono in fase "figli dei fiori" e non seguo a tutti costi la moda imperante del foraging; da tempo sono appassionata di erbe spontanee e fiori eduli, non è un colpo di fulmine passeggero. Sicuramente sono stata stimolata dalla stagione e da alcune attività a cui partecipo. Non potevo infatti che contribuire alla settimana ad essi dedicata dal Calendario del Cibo Italiano Aifb, di cui è stata ambasciatrice Cinzia Donadini del blog Essenza in Cucina,  con un'insalata di erbe e fiori di campo in cui ho inserito diversi altri contributi ripescati nel blog e a cui dedico anche questo piatto. 
Mi ripromettevo di utilizzare anche il Nasturzio, dal momento che la piantina che l'esperta di phytoalimurgia, Marta Veneziano,  dopo un breve corso, a novembre, in quel di Camaiore, mi aveva regalato sentenziando "tanto ti muore subito", aveva invece attecchito e ha persino superato l'inverno grazie all'insolita mitezza del clima e questa primavera è fiorito!


Ricordo che quando lo assaggiai durante il corso, rimasi folgorata dal gusto esplosivo e pizzichino del fiore; le foglie invece ricordano un po' quelle del cappero.
Qui un po' di info sulle caratteristiche botaniche e sugli usi in campo officinale del NASTURZIO.

Mi si accesero subito tante lampadine che rischiaravano idee di abbinamenti con i miei pescetti, in primis un crudo. Ma ho dovuto aspettare fino alla primavera per realizzarla. E aspetta...aspetta...a momenti non ce la faccio perché il fiore dura pochissimo, l'ho fotografato e tre giorni dopo era ormai sciupato ma c'era un altro  bocciolo che era in procinto di dischiudersi. Allora gli ho fatto la posta ma nel frattempo è piovuto, manca poco mi scappa pure quello! Quindi con l'unico fiore rimasto e quattro foglioline sparute, tre o quattro filettini di sugarello, ho potuto eseguire l'esperimento. Ce lo siamo gustato come aperitivo, centellinandoci un cucchiaino per uno, mio marito ed io (beh la porzione era un po' di più di quella fotografata).


Ingredienti:

Filetti di sugarello precedentemente abbattuti o passati nel congelatore domestico
min - 18°C per 96h come da prassi per il consumo di pesce crudo.
lime
foglie e fiori di nasturzio non trattati
polvere di capperi
sale
olio evo monocultivar Casaliva del Garda, selezione Airo

Decongelati i filetti, spellarli e rimuovere ogni residuo di spine, sminuzzarli al coltello grossolanamente, condirli con l' olio evo monocultivar Casaliva, dal fresco sentore di oliva verde, leggermente piccante e poco amaro, la polvere di capperi, una spruzzata di lime che esalta la sapidità salmastra del pesce come sperimentato recentemente in un crudo proprio di sugarello, a cui mi sono ispirata appunto,  dello chef Nicola Ricci del Ristorante Bagno Nettuno di San Vincenzo e notato più volte in abbinamento a piatti di pesce anche molto sapidi e concentrati come i bottoni al lime su crema di cacciucco o nell'elegantissimo risotto ostriche, mandorle e lime dell'amica chef  Deborah Corsi,.
Aggiungere anche  un pizzico di scorza grattugiata, ben pulita con spugnetta leggermente abrasiva per rimuovere la cera protettiva. 
Ogni ingrediente va aggiunto e dosato con leggerezza, poco alla volta e sempre assaggiando per non compromettere il risultato finale. Il buon senso suggerisce che è più facile aggiungere che togliere.
Tritare infine le foglie e il fiore di nasturzio e unirlo al pesce.   Lasciarlo insaporire almeno un'ora in frigorifero e infine toglierlo 20 minuti prima del consumo in modo da non gustarlo troppo freddo poiché i sapori ne risulterebbero penalizzati. 




TORTINO DI PAPPA AL POMODORO GIALLO DEL VESUVIO CON ALICI ALLA COLATURA DI ALICI

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La pappa al pomodoroè il piatto toscano che per primo mi ha colpita dritta al cuore, umile, semplice, verace, confortevole e gustosa. Uno dei tanti piatti straordinari che la sapienza contadina, in Toscana, ha creato per recuperare il pane "posato" cioè raffermo, col quale si ispessivano anche le zuppe di verdura, si facevano crostini e panzanelle, che rimangono tutt'ora fra i classici della tradizione regionale.
Ricordo la prima volta che l'assaggiai, durante le mie prime trasferte toscane, a casa della mia futura suocera. La conoscevo  solo per via della  canzoncina di Rita Pavone che si canticchiava da bambini. Fu amore al primo morso!
Tornata a casa, volli subito cimentarmi nella preparazione per farla assaggiare anche ai miei genitori.
Le dosi della suocera erano molto vaghe, misi su una secchiata d'acqua e, complice anche un pane poco adatto, venne fuori una sbobba neanche lontanamente paragonabile alla delizia assaggiata.
Nel tempo ho affinato la tecnica, riconosciuto gli ingredienti fondamentali, come il pane, possibilmente Dop Toscano, pomodori freschi e ben maturi e olio extra vergine d'oliva di qualità, profumato e dal gusto intenso.

Ambra Alberigi, del blog A ogni pentola il suo coperchio, di origini lucchesi, ne è la perfetta e verace ambasciatrice per il Calendario del Cibo Italiano Aifb che oggi onora la preparazione. Per approfondimenti storico-culturali e tecnici, la parola dunque ad Ambra nel suo esauriente articolo

Io mi sono divertita a riproporre una pappa in giallo, fatta con degli straordinari pomodori gialli del Vesuvio, scoperti solo un paio d'anni fa durante un weekend godereccio in terra campana. Prodotti stupendi che lasciano il segno nella memoria gustativa; dotati di acidità importante eppure equilibrata, sapidità e mineralità per un gusto unico.
Ho arricchito la pappa gialla  con alici fresche e colatura di alici e l'ho composta a mo' di tortino, in due versioni, a ciascuno la sua ma.....in giallo!!




Stessa ricetta semplicissima, due modi di presentarla.

Ingredienti per 4 tortini

150 g di pane Dop Toscano   "sciocco" (non salato) affettato e posato
500 g di pomodorini gialli del Vesuvio
1 spicchio d'aglio
olio extra vergine d'oliva da cultivar Ravece, Irpinia (dal sentore fruttato di oliva intenso, con aroma erbaceo e spiccate note di pomodoro verde e foglia di pomodoro)
basilico in foglie e fiori di basilico
16 o 4/8 acciughe fresche (rispettivamente se si sceglie la prima o la seconda versione)
2 cucchiaiate di pane raffermo grattugiato
1 cucchiaino d'olio evo c.s.
1 cucchiaino d'acqua
polvere di capperi qb (capperi sotto sale ben dissalati sotto acqua corrente, poi asciugati in forno a 80 ° C per 1 h e tritati finissimi al mixer)
1 cucchiaino di colatura di alici di Cetara

Rosolare l'aglio con una cucchiaiata d'olio, buttare i pomodorini appena spaccati, far insaporire, aggiungere il pane tagliato a tocchettini (c'è chi toglie la crosta per avere una pappa uniforme, a me piace invece che ogni tanto venga in bocca un pezzetto più consistente), diluire con acqua calda e cuocere a fuoco basso fino a che il pane non si disfa quasi completamente e si ottiene una pappa morbida, aggiungendo acqua via via se necessario. Regolare di sale e condire con olio extra vergine d'oliva non troppo amaro, giustamente piccante, dal sentore di oliva fresca e foglia di pomodoro come per esempio quello ottenuto dalla cultivar irpina Ravece che esalterà il gusto del pomodoro giallo senza coprirlo.

Mescolare il pane grattugiato con olio, acqua, colatura di alici e un pizzico di polvere di capperi, creando una sorta di crumble. A questo punto se si sceglie la prima versione, distribuire il crumble sul fondo e lungo le pareti degli stampini oliati, disporre le acciughe, pulite, diliscate e sfilettate sul fondo degli stampini, dalla parte della pelle,  facendo fuoriuscire la codina. Versare la pappa gialla negli stampini, ripiegare le codine verso l'interno. Passare in forno a 180° C per 7-8 minuti.
Decorare con foglioline e fiori di basilico.



Se invece si sceglie la seconda versione, si impiatta la pappa gialla ancora calda utilizzando un coppa pasta tondo o quadrato,  a piacere, e si completa con uno o due filetti  di acciuga fatti gratinare in forno con il mix di pane grattugiato, olio, colatura e polvere di capperi, a 180° C per 5-6 min. Decorare il piatto con altra polvere di capperi o con un'emulsione dello stesso olio evo irpino e basilico.

A ciascuno il suo!!! Sicuramente, si nota anche dalla foto, nella prima versione la pappa rimane sempre papposa, nella seconda, rimane più compatta 

LA PIZZA E IL MARE, LA PERLA DEL MARE, SAN VINCENZO, 22 GIUGNO 2016

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Di fronte ad uno spettacolare tramonto, in una delle prime vere serate estive, incuranti degli europei di calcio, si è svolta mercoledì 22 giugno, nel raffinato contesto della Perla del Mare di San Vincenzo, una deliziosa serata, intima e raccolta, con due protagonisti d'eccezione che insieme hanno elaborato un menu composto da pizze e focacce degne dell'appellativo "d'autore" : la chef di casa Deborah Corsi e il suo ospite Massimo Giovannini, abile e creativo pizzaiolo e patron di Apogeo Giovannini di Pietrasanta, un luogo che in pochi anni è divenuto simbolo della pizza di qualità che utilizza farina e prodotti selezionati, lunghe lievitazioni e propone svariate  tipologie in grado di soddisfare i palati più esigenti.

Il convivio è partito  con un ricco e scenografico aperitivo, goduto sulla spiaggia fino a che il sole non è scomparso sotto la linea dell'orizzonte e ha infuocato i profili dell'Isola d'Elba,  Capraia e Corsica. Spettacolo a cui noi rivieraschi siamo abituati ma non finisce mai di emozionare!






Le birre del Piccolo Birrificio Clandestino di Livorno hanno accompagnato l'intero menu, partendo dalla Tropical Pale Ale Awanagana  per l'aperitivo e la prima pizza, seguite dalla blanche al farro Trepponti e infine la White I.P.A. Gatta Bianca e Santa Giulia, Brown Ale




Le speciali basi per pizza sono state ideate e realizzate da Massimo Giovannini per poter offrire ai ristoranti la possibilità di servire una pizza di qualità, in mancanza di forni elettrici o a legna specifici per la cottura della pizza. Vengono preparate con farine selezionate, macinate a pietra, con lievito madre e dopo lunghe lievitazioni da 24 a 30h, sottoposte a pre-cottura in forno a vapore a 120° C per 25 minuti, imbustate sotto vuoto, possono essere rigenerate in forno ventilato a 250° C. La struttura è soffice e lieve, la seconda cottura conferisce croccantezza per un prodotto perfettamente digeribile. Lo dimostra il fatto che dopo un ricco aperitivo e ben sei assaggi di pizza, annaffiati generosamente dalla birra, ci siamo alzati da tavola senza alcun senso di pesantezza o gonfiore e la prova del giorno dopo ha confermato ciò che ho sentito asserire anche da Heinz Beck ad un convegno a proposito della digeribilità dei cibi "se hai mangiato bene te lo dice il tuo stomaco il giorno dopo" (e ti alzi fresco e riposato perché hai dormito tutta notte senza problemi di arsura e digestione, aggiungo!)
Vi sembra poco? Non direi! Ho riferito il nostro commento a Massimo, mi ha risposto che è il miglior complimento che si possa fare ad un pizzaiolo.

I toppings ideati da Deborah inoltre erano in linea con la sobrietà e la digeribilità delle preparazioni.
Ecco qua la carrellata dei nostri assaggi:

L'aperitivo. Da sinistra verso destra: panino con salmone marinato e burro salato - Bruschetta vegetariana - Crostini integrali crema di peperoni e perle di peperoncino - spuma di mortadella e pistacchi - Focaccina alle trebbie con pesce spada affumicato e maionese allo zenzero. Che partenza eh?

Ed ecco le pizze. Va sottolineato che gli impasti sono diversi dalle pizze tradizionali, sono più soffici quasi come delle focacce ma nel contempo croccanti. Simpatiche ed originali da proporre in un ristorante come arricchimento del menu magari per il light lunch sulla spiaggia come alla Perla!

 La Margherita di Massimo con pomodoro, burrata e origano. Evergreen!

La Pizza Acciugata base farine miste, segale, semi di lino, girasole e zucca topping : burrata, acciughe salate, maionese di pomodoro. A colpo sicuro!

Pizza Crema di Mare: base con estratto di pomodoro nell'impasto, topping: crema di seppie, asparagi, riccioli di calamari fritti e alghe croccanti. La più difficile e inimmaginabile ma la mia preferita, un'armonia di gusti veramente indovinata, brava la mia Deborah!

Pizza Cheap&Chic: base : impasto con estratto di pomodoro come sopra, toppings: baccalà mantecato, cipolla glassata e pesto al prezzemolo. Precisamente Cheap&Chic, non trovo definizione migliore

Pizza Pulp, base  farina integrale 100%, toppings con crema di patate, polpo, pomodorino confit, pancetta e polvere di capperi. Pulp scherzosamente riferito al polpo per via dell'assonanza fonetica ma anche perché è polposa in tutti i sensi, data la corposità degli ingredienti.

Focaccia Cacciuccata: base focaccia con estratto di pomodoro (impasto diverso dalle pizze sopra), farcitura con crema di cacciucco al lime,  raffinatissimo connubio, bocconcini di pesce e pesto di valeriana. La succulenza senza l'opulenza!


Dulcis in fundo, quello non può mai mancare: il dessert Margherita, deliziosa intepretazione di Deborah degli ingredienti della pizza in versione dolce ovvero biscotto al basilico, mousse di mozzarella di bufala, pomodoro candito, sorbetto di pomodoro. Che ve lo dico a fa'?

A conclusione della serata, abbiamo invitato gli ospiti ad esprimere le loro preferenze. I gusti classici come margherita, acciughe e baccalà  hanno incontrato  maggiormente il favore del pubblico ma anche gli abbinamenti "creativi" hanno destato curiosità, stupore e apprezzamento per la gioia dei loro artefici.

Non ultimo,  una domanda è sorta spontanea ed immediata mentre Massimo spiegava al nostro tavolo il concetto e la preparazione delle sue basi speciali per la ristorazione e cioè "perché non proporle anche per la vendita al dettaglio?".  Basi di grande qualità, prodotti eccellenti, togli dalla busta, condisci e cuoci nel forno di casa! Non sarebbe fantastico? Io sono la prima cliente! Mi prenoto e mi auguro che Giovannini ci pensi seriamente!!









POVERIMABELLIEBUONI ALLA ROCCA DI CASTELFALFI

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Toscana delle meraviglie, Toscana dalle mille sorprese, Toscana che non smette mai di incantare.
Alzi la mano chi conosce Castelfalfi! Sicuramente più gli stranieri che noi italiani.
Come al solito, le cose vicino a casa sono le meno note. Eppure io ho girato la Toscana in lungo e in largo ma quanto ho ancora da scoprire.
Incredibile ma vero, infatti, ho sentito nominare per la prima volta Castelfalfi, due o tre anni fa, da amici-clienti americani che vengono spesso in Italia e cominciano il loro tour con una settimana disintossicante in questo borgo incantato.
Non è la solita frase fatta, basta guardare le due  foto (gentilmente concesse dall'ufficio stampa del Toscana Resort Castelfalfi) per farsi un'idea  della bellezza di questo piccolo borgo medievale, che domina la Val d'Era, incastonato come un gioiello fra colline coperte di vigneti, oliveti, boschi e laghi, nel comune di Montaione, fra Firenze e Volterra.
La Tenuta di Castelfalfi, che vanta 800 anni di storia, si estende su un'area di più di 1000 ettari e comprende, oltre al Borgo con le sue strutture alberghiere e ristorative, anche una produzione di vino e olio con olivi secolari e uno dei campi da Golf più spettacolari d'Italia e il più grande della Toscana con il Mountain Course a 18 buche e il Lake Course a 9 buche. 


La società multinazionale tedesca Tui Ag, il  più importante tour operator mondiale,  a partire dal 2007, è stata l'artefice della rinascita, dopo decenni di abbandono,  dell'antichissimo borgo, che col suo castello,  furono fondati nell'anno 700 dal longobardo Faolfi, da cui deriva il nome.
Le strutture ricettive attualmente sono rappresentate dall'hotel di charme quattro stelle La Tabaccaia, ex fabbrica per l'essicazione del tabacco  a cui sarà aggiunto entro la primavera del prossimo anno il Castelfalfi Resort Golf Spa, un nuovo cinque stelle con centoventi camere, dal lusso sobrio ed ecosostenibile grazie alla costruzione in bioarchitettura con materiali a basso impatto ambientale ed energicamente efficiente ed autosufficiente, provvisto di centrale termica a biomassa autoalimentata dalla tenuta ed ogni accorgimento all'avanguardia per la gestione delle risorse energetiche.
Completa l'offerta, disponibili per vendita o affitto, ville e casali immersi nel verde della tenuta, così come case e appartamenti nel borgo, sapientemente ristrutturati, dallo charme tutto toscano, giocato fra  raffinata eleganza e semplicità.


Oltre alla trattoria Il Rosmarino, che offre specialità toscane e fragranti pizze cotte in forno a legna, al piano terra del castello sono situate le suggestive sale del ristorante gourmet La Rocca di Castelfalfi, regno del giovane chef Michele Rinaldi. Al primo piano del castello sono disponibili locali polivalenti per cene private, feste e meeting e una scuola di cucina Rosso Toscano Cooking School.
Di prossima ristrutturazione saranno anche le cantine del castello, ambienti molto suggestivi, resi celebri da Roberto Benigni che, nel 2002, vi girò alcune scene del suo indimenticabile Pinocchio.

Il ristorante La Rocca di Castelfalfi si distingue per il gusto e la passione che costituiscono ogni piatto offerto dal ricercato menù. Una cucina moderna quella di Michele Rinaldi, che abbraccia la tradizione di una regione che vanta ricette conosciute in tutto il mondo, capace di esaltare antichi sapori con tecniche contemporanee.


Classe 1985, originario di Martinengo in provincia di Bergamo, Michele Rinaldi, proviene da esperienze formative importanti quali l'Albereta di Gualtiero Marchesi, Da Vittorio di Brusaporto (BG), lo spagnolo Restaurante Martin Berasategui fino alla sua prima esperienza autonoma come executive chef del ristorante All'Acquacotta dell'Hotel Resort Terme di Saturnia (GR) dove, nel 2011, a soli 27 anni, ottiene la sua prima stella Michelin.

Ebbene, onorata dell'invito ad assaggiare la cucina di questo bravo chef, per cui ringrazio sia l'amico Claudio Mollo che Jaele Ponzi, addetta stampa della tenuta e lo stesso chef e il suo impeccabile staff, arrivo all'appuntamento con buon anticipo perché mi voglio godere un po' il borgo e scattare qualche foto al tramonto. Purtroppo però l'orizzonte è appannato da una foschia di caldo intenso che, pur offrendo uno spettacolo dal particolare fascino ovattato, non è l'ideale da immortalare, soprattutto per una che non ha ancora imparato a dominare la reflex!

I miei compagni gourmet erano tutti volti noti ma non ero a conoscenza della loro presenza e quindi è stata una piacevole sorpresa ritrovarli e condividere il convivio con loro, a partire dal simpatico aperitivo con cui lo chef ci ha accolti presentandosi.
Ca' del Bosco Vintage Collection Brut 2009 e stuzzichini da copiare, vedi i golosi lecca lecca o ventaglietti di cialda di parmigiano, i micro-toast che erano una poesia e un'avvolgente crema di burrata con pomodoro candito ed emulsione al basilico. Quando si dice: "happy hour"! 

Immancabile foto di gruppo e poi ci accomodiamo al nostro tavolo. Da sinistra a destra Riccardo Farchioni e Claudio Mollo, L'Acquabuona, Jaele Ponzi, la gastro-giardiniera Stefania Pianigiani, La Finestra di Stefania,Agrodolce, Luca Managlia, Gola Gioconda, e Gianluca Domenici, Penna Blu edizioni 

A tavola sulla splendida terrazza del castello, mentre lo chef ci spiega cosa ha preparato per noi


Nonostante avessimo già fatto l'aperitivo, il menu rispetta il suo cliché e arriva anche un piccolo amuse-bouche o amuse-Bocuse, come disse una mia cara amica in un attimo di distrazione. Riferisco la défaillance dell'amica al gruppo e ci facciamo delle gran risate con buona pace di Bocuse.

Non impazzisco per il salmone ma quando è buono è buono e questo bocconcino lo era proprio con la sua maionese e aria di cetriolo.

Notevole la varietà di pani, grissini e focacce sfornate da Michele, incluso un friabilissimo carasau da far impallidire i sardi

L'antipasto esordisce con un'ineccepibile  ricciola a 360°, in un crescendo gustativo equilibrato ed elegante che emoziona l'intero tavolo : in tartare col suo "ombrellino" di nasturzio, in carpaccio con perle di ginger beer, in tataki con cialda croccante e caviale di aringa e infine sott'olio, en pipérade, su crostino di pane ai cereali. Completano la composizione farro soffiato semi caramellato e petali di nasturzio, proveniente dal coppo straripante di tale pianta, che faceva bella mostra di sé in un angolo della terrazza del ristorante: dal vaso al piatto come dice bene la gastro-giardiniera Stefania.
Tu chiamale se vuoi....emozioni.


Le candele a tavola sono romantiche ma si fa buio e la luce  incomincia a divenire insufficiente per le foto;  volendo diligentemente immortalare tutto, ci prendiamo  il piatto e ci fiondiamo in un angolo della cucina dedicato ai dessert, dove un bel bancone quasi sgombro fa al caso nostro e le luci sono accettabili .
Il secondo antipasto: animelle alla milanese con cappuccino di mandorle e riduzione di caffè di cicoria, piatto ardito e di carattere che denota la determinata vena sperimentale dello chef basata non tanto sul desiderio di stupire tout court ma ben ragionata e motivata come avrà modo in seguito di spiegarci. 
Un connubio, animelle-mandorle-cicoria, stimolante sia per il palato che per il confronto. L'intensità della nota amara conferita dalla cicoria e il suo importante contrasto con la dolcezza di animelle e mandorle divide i gourmet e accende un divertente e garbato confronto orchestrato dal Domenici. 
Piatto decisamente Pop, parafrasando Oldani.

Il Franciacorta Monterossa prima cuvée brut ha accompagnato degnamente gli antipasti e il risotto




Risotto Carnaroli, avocado, lime, carpaccio di gamberi e aria di mare. Raffinatissimo risotto, mantecato con purea di avocado che, saggiamente, permette di non eccedere con i grassi abituali della mantecatura del risotto, per un risultato sobrio e lieve nella consistenza ed armonico e delicato nei gusti, dove la dolcezza dei gamberi crudi viene garbatamente integrata dalla sussurrata sapidità dell'aria di mare. Quando si dice la poesia.

Michele Rinaldi, dopo averci rassicurati con il suo confortevole risotto che mette tutti d'accordo, ci stuzzica nuovamente con dei succulenti  gnocchi di patate,  foie gras, cipolle caramellate e prosciutto d'anatra che, come per le  animelle, vivacizza la discussione sugli equilibri gustativi.
Chi difende la complessiva dolcezza del piatto, chi gradirebbe un tocco di sapidità in più, chi diminuirebbe la porzione dello gnocco. Il gioco degli equilibri è difficilissimo e  Michele si destreggia egregiamente in un piatto sicuramente voluttuoso.

Champagne Grand Cru Legras & Haas, blanc de blancs, brut  per gli gnocchi




Trancio di tracina in zuppetta, cous cous di verdure, patate e pomodoro confit. Il piatto per Poverimabelliebuoni? Grazie Michele!! Coraggioso a mettere in carta una tracina in un posto così elegante, con un pubblico internazionale, che deve impegnare i camerieri per spiegargli che pesce è!!
Chapeau! 
Collio Doc Sauvignon Draga 2015 per la tracina


Si fa tardi, io dovrei rientrare, ho un'ora abbondante di macchina per tornare a casa e il giorno dopo devo alzarmi presto per sbrigare delle faccende, mi scuso con i miei compagni di tavolo e, prima di congedarmi, vado in cucina per salutare lo chef. Lo trovo che sta preparando i dessert proprio per noi e compone il mio per primo; velocemente lo immortalo e me lo mangio sotto i suoi occhi, commentando in diretta e ascoltando le sue argomentazioni. Michele è garbato, educato, sicuro e determinato ma umile e aperto alla discussione, una persona piacevolissima e meritevole a cui auguro continui successi.


Vedere e non mangiare. Piccola pasticceria che ho tempo solo di immortalare sigh...


Il dessert: ganache al cioccolato  Guanaja  (Honduras) Valrhona, olive essiccate - sorbetto di pomodoro, terra al cacao, pomodoro candito e olio extravergine d'oliva della tenuta Castelfalfi . Dolce non dolce, che adoro, tutto giocato su sfumature di acidità dal cioccolato al pomodoro alle olive con piccole note dolci biscottate. Riuscitissimo esercizio di puro funambolismo e coerente conclusione di un menu che rispecchia la filosofia dello chef e che regala emozioni ai suoi ospiti.

Non vedo l'ora di tornare a Castelfalfi  anche  con mio marito, magari di giorno per  gustarmi con tutta calma, oltre che un'altra esperienza gastronomica, anche   la campagna intorno e godere di questo angolo di paradiso che onora la tradizione Toscana e che il mondo ci invidia.









ELOGIO DELLA ZUPPA DI PESCE

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Dover scrivere un articolo sulla zuppa di pesce e non sapere che pesci pigliare è tutto dire per un blog che tratta solo di pesce!
Forse mi sono fatta prendere dall'ansia da prestazione. Ma penso capiti a tutti i colleghi food blogger soci Aifb, quando si apprestano a rivestire il ruolo di ambasciatore di un tema, un ingrediente o un piatto protagonisti delle giornate nazionali del Calendario del Cibo Italiano promosso dalla nostra associazione.
Ebbene oggi è toccato a me, in qualità di autrice di Poverimabelliebuoni, di rivestire questo ruolo per la giornata nazionale della zuppa di pesce.

E' stato uno stimolante esercizio di scrittura e di stile, di ricerca storica, di organizzazione, di rispetto dei vincoli  e delle esigenze editoriali, aspetti  per cui nel proprio blog si è totalmente liberi. Non è stato semplice ma mi sono divertita anche se l'ho sudato.  Spero dunque che il mio Elogio della zuppa di pescevi piaccia. Buona lettura!

Ringrazio anche tutti gli altri blogger che hanno contribuito con le loro ricette ad offrire una panoramica delle principali zuppe di pesce italiane, sia di mare che d'acqua dolce:






Per onorare questa giornata, a dispetto della sontuosità della maggior parte delle zuppe di pesce, che ho elogiato nell'articolo, ho voluto proporre una zuppa poco conosciuta, la minestra di pesce livornese, che io adoro.
E' un piatto povero ma ricco di sapore, inutile sottolinearlo, come in origine lo erano tutte le zuppe, preparato  con quello che rimaneva invenduto,  pesci detti poveri perché non finivano sulle mense dei ricchi ed erano destinati alla povera gente, pesci per lo più piccoli e liscosi ma saporitissimi e perfetti per la zuppa.
La minestra di pesce è una ricetta tipica di Livorno e dintorni ma poco diffusa anche a casa propria, si trova  in pochi  locali veraci o ristoranti di pesce della costa che ripropongono antichi piatti locali.
Nelle pescherie viene venduto il  "misto per minestra di pesce", misto  che ovviamente varia a seconda del pescato e della stagione.
Le varietà che lo compongono sono principalmente : scorfani neri e rossi, gallinelline, tracine, boccacce, saraghetti e piccoli paraghi, pesci prete, nasellini, sbirri o carabinieri, tordi, boghe, piccole pescatrici....Solo pesci da lisca quindi, e bianchi, niente azzurri.

Misto minestra da leccarsi i baffi!

Piatto ricco, mi ci ficco! Quando trovo nel misto gli scorfani neri non resisto, perché gli scorfani, soprattutto quelli  neri, conferiscono un'intensità alla zuppa impareggiabile.

Si tratta di  una minestra passata, molto simile alla soupe de poisson francese che  imperversa lungo tutte le coste d'oltralpe, in particolare nel midi e ricorda anche il ciuppin ligure. A differenza della cugina francese che viene servita molto liquida, da ispessire con crostini di pane, rouille e groviera grattugiato e dal ciuppin, dove galleggiano anche tocchetti di pesci e si accompagna con pane tostato, nella minestra livornese, da servirsi né troppo liquida, né troppo spessa, vengono cotti degli spaghettini spezzati.
Personalmente la preferisco spessa e senza spaghetti ma con crostini di pane abbrustolito.
Se ho ospiti, per non far torto a nessuno, fermo restando che opto per i crostini, la servo  bella densa come piace a me e porto in tavola un bricchetto di brodo di pesce caldo così ognuno se l'allunga come desidera!

Per quest' occasione, sono rimasta fedele alla versione tradizionale:


MINESTRA DI PESCE LIVORNESE 

Ingredienti per 4-6 porzioni

1 kg  di piccoli pesci misti "da minestra" (scorfani rossi e neri, gallinelle, tracine, nasellini, boccacce, tordi, sbirri)
2 l d'acqua
200 g di pomodori freschi o 100 di passata di pomodoro casalinga
100-120 g di spaghettini o fette di pane casalingo toscano tostato a piacere
2 cucchiai di concentrato di pomodoro
2 gambi di sedano
1 cipolla bionda media
2 spicchi d'aglio
1 foglia d'alloro
3-4 foglie di erba salvia
un ciuffo di prezzemolo
peperoncino media piccantezza  in polvere qb
olio extra vergine d'oliva igp Toscano qb

Squamare, eviscerare e lavare bene tutti i pesci. Mettere a rosolare, in un'ampia casseruola, un trito grossolano di sedano, carote, cipolle e aglio con la foglia d'alloro, la salvia e il prezzemolo con due o tre cucchiai d'olio e un goccio d'acqua, aggiungere i pesci interi, farli insaporire, unire il pomodoro, allungare con l'acqua e far cuocere dolcemente con il coperchio per circa 30 minuti allungando con altra acqua se necessario in modo da ottenere una zuppa brodosa.


Togliere qualche mestolo di brodo e mettere da parte. Eliminare l'alloro. Frullare brevemente con il frullatore ad immersione e infine passare nel passaverdura o al colino fine, aggiungendo del brodo per facilitare l'operazione e allungare la minestra secondo il proprio gusto.
Se si decide di cuocervi gli spaghetti si lascerà più brodosa, si aggiusta di sapidità e sapore dosando il concentrato di pomodoro, sale e pepe e un pizzico di peperoncino macinato, si riporta a bollore e si "calano" gli spaghettini spezzettati. Si serve finendo con un giro d'olio extra vergine d'oliva a crudo e ulteriore peperoncino a piacere.

Se si preferisce più cremosa, non si aggiunge ulteriore brodo quando si passa al colino, e anziché gli spaghetti si può servire con crostini di pane toscano tostato, per i palati forti anche agliato!




FORTE VINTAGE, MINERVA BEACH, 12 LUGLIO 2016 FORTE DEI MARMI

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Forte Vintage ha avuto una lunga incubazione, frutto di uno scambio di idee e di confronti, a cui ho avuto il piacere di prendere parte nei suoi esordi, insieme a Gaio Giannelli, vulcanico chef imprenditore del Pozzo di Bugia di Querceta,  Marco Bellentani, giornalista, e sua moglie Simona Palumbo, fotografa e titolare dell'agenzia  La Fonderia.  Tra uno spicchio di pizza del Pozzo, una fetta di pata negra e una forchettata di penne alla Maitò, e successivi ripensamenti, alla  fine l'evento risulterà  totalmente diverso dall'idea iniziale ma promette di rivelarsi un grande happening, "semplice ma sublime", per dirla con Gaio Giannelli, nel più puro spirito culinario versiliese.

Perché Gaio è Gaio! Leggi qui

Dopo il primo incontro, ho avuto qualche difficoltà e mi sono persa un po' per strada, e poi, complice una vacanza, l'organizzazione è stata gestita totalmente da Marco, che però mi ha sempre gentilmente aggiornata passo dopo passo. Sono dunque onorata e grata sia a Gaio che a Marco di avermi voluta con loro per la serata.

Sarà un'imperdibile jam session culinaria e vinicola, in un contesto esclusivo e fascinoso come quello del Minerva Beach, il raffinato  stabilimento balneare del Grand Hotel Imperiale, 5 stelle, di Forte dei Marmi, che ospita un panoramico ristorante da spiaggia, sede diurna della cucina di  Gaio Giannelli.

I grandi piatti della tradizione versiliese verranno reinterpretati con ironia e fantasia da quattro rinomati  chef di zona, in un'occasione unica e speciale,  per amore della convivialità più pura, per amore del Forte e della sua fantastica riviera che da sempre rappresenta uno dei luoghi vacanzieri  più ambiti del panorama italiano e che nel tempo ha consolidato veri piatti simbolo di una ristorazione da mare e d'amare, fedeli alla tradizione più verace.

Come da consuetudine rivierasca, si inaugurerà il convivio  con un aperitivo in riva al mare appunto, con i vini che poi accompagneranno altri piatti del menu, dei produttori Montellori e Ca Lunae-Bosoni. 

Aprirà poi le danze, a tavola,  Alessandro Filomena,chef del ristorante di  Franco Mare, di Marina di Pietrasanta, con le sue cozze ripiene ripiene,  omaggio alla gustosa preparazione corposa e popolare della Costa Toscana. La formula di Filomena non è stata svelata, sarà una sorpresa sorpresa!
Per la sottoscritta sarà una tripla sorpresa perché lo chef di Franco Mare è l'unico dei magnifici quattro che ancora non conosco di persona e di cui non ho assaporato la cucina.



Seguirà un vero piatto cult della tradizione fortina, le penne alla Maitò, declinate da Angelo Torcigliani  del Merlo di Camaiore,  in versione Arrabbiata, per coniugare la tradizione locale e quella italiana. Il leggendario piatto del Maitò è  una gustosa pasta al pomodoro perfettamente mantecata con una generosa, anzi magnanima, dose di parmigiano reggiano e burro. Sublime semplicità come sopra! Angelo la cucinerà  nel suo scenografico pentolone, direttamente davanti ai commensali, offrendo  un vero e proprio cooking show, commentando e svelando ogni dettaglio della preparazione con l' abituale verve flemmatica eppure passionale  che lo contraddistingue e che ho avuto il piacere di ammirare in alcune occasioni.

Il Gaio's show avrà, invece, come protagonista uno dei piatti simbolo della Versilia, la vitella da latte di Bruno Vietina, il fondatore dello storico Maitò di Forte dei Marmi che aprì i battenti nel 1965.
Un omaggio di Gaio al suo primo maestro in cucina, perché è proprio al Maitò che il guascone del Pozzo muove i primi passi nella ristorazione. La vitella verrà cotta al forno con tutta la devozione che Gaio riserva alla materia prima che ama e che conosce profondamente; verrà infine raccontata e  sporzionata, davanti ai commensali,  e servita con patate arrosto e spinaci come nella migliore tradizione,  direttamente dal suo autore.


Sarà infine Andrea Madonia, giovane e creativo chef di Fubi's,  ristorante gourmet viareggino dell'ardito e simpatico Stefano Fubiani, a rivoluzionare un mito della gelateria locale, il Dessert Versilia, creato negli anni '60 da un intraprendente lattaio, Aurelio Angeli,  nel suo laboratorio, rinominato in seguito e tutt'ora esistente:   Gelateria Versilia a Bozzano, Massarosa. Un semifreddo in barattolo composto da pan di spagna, gelato, zabaione, cioccolato e bagnato con del liquore dolce, nella formula più classica, ma di cui esistono molteplici diverse aromatizzazioni. Il Dessert Versilia ha attraversato indisturbato ed inalterato tutto il boom economico, gli anni ruggenti, i decenni delle spider e delle attricette, delle ville al Forte e della Bussola. Passa dalla più semplice e modesta trattoria dell’entroterra Pietrasantino alla raffinata hall dei Ristoranti cinque stelle di Viareggio, accontenta famigliole di Montecatini con la seicento multipla e coppie trasgressive con la Maserati, si infila nei freezer dei campeggi di Torre del Lago e degli Alberghi extralusso di Forte (cit. http://www.versiliatoday.it/2016/05/01/dessert-versilia-dal-mito-alla-leggenda/)


Questo poker d'assi culinario non poteva che essere sublimato da un comparto enologico di prim'ordine che schiera una coppia d'assi eccellente come Fattoria Montellori e Ca Lunae - Bosoni.

La Fattoria Montelloriè una storica azienda vitivinicola di Fucecchio (FI), rappresentata per la serata da Evelina Nappini, abbinerà all'aperitivo e all'antipasto "muscoloso" di Filomena il suo elegante spumante Pas Dosé 100% Chardonnay, ricavato da vigneti posti a 500 m e affinato  36 mesi sui lieviti.  Un altro vino di Montellori, il celebre Dicatum, frutto di sangiovese 100% affinato per un anno in  tonneaux da 500 l, sarà abbinato  alla vitella di  Gaio Giannelli.


Ca Lunae Bosoni, importante realtà vinicola di Ortonovo (SP), sarà rappresentata a Forte Vintage direttamente da Diego Bosoni,  deus ex machina dell'azienda  e vero artista del  Vermentino in Lunigiana. Proprio una nuova versione di Vermentino in purezza, Etichetta Nera, sottoposto a macerazione sulle bucce per 48 h prima della vinificazione,  accompagnerà le penne alla Maitò arrabbiate di Angelo Torcigliani.
Non ultimo, il Passito della cantina ligure sposerà il Dessert Versilia rivoluzionario di Madonia.


A conclusione della serata, si esagera e si continua con l'open bar al Minerva Beach, dove i barman proporranno speciali cocktail preparati con i vari liquori della linea creata da Bosoni, Essentiae.

E per chi non riuscirà ad uscire da Forte Vintage con le proprie gambe, ci sono i comodi lettini da spiaggia dove sdraiarsi a godersi il fresco della notte e se ci si addormenta sotto le stelle.....sogni d'oro!!!


Forte Vintage ha un costo (all inclusive) di 70 euro a persona. Per info e prenotazioni: 340 70107511 (Gaio Giannelli) o 3392381193 (Marco Bellentani)
Forte Vintage è un evento creato e sostenuto da Pozzo di Bugia, Costruzioni MEI, La Fonderia - Una scelta di campo, Ca Lunae-Bosoni, Fattoria Montellori, Fubi's, Franco Mare, Il Merlo.

Minerva Beach - Via arenile 41 - Forte dei Marmi

Tutte le foto sono state scattate da Simona Palumbo ©LA FONDERIA 
LaFonderia Facebook
Circuito La Fonderia - Una scelta di Campo: smlafonderia@gmail.com
©riproduzione riservata


Marco e Simona



FORTE VINTAGE, SUPER JAM SESSION CULINARIA E VINICOLA, MINERVA BEACH - FORTE DEI MARMI

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Forte Vintage, 12 luglio 2016, Minerva Beach, Forte dei Marmi 

Forte Vintage o elogio della semplicità, sublimata, voluta  e goduta. Un caloroso omaggio alla tradizione culinaria fortemarmina  più verace, dall'intramontabile  fascino chic e disinvolto, in una sede, il Minerva Beach,  che ne è esemplare emblema.
Le premesse dell'esclusivo e brillante evento, illustrate nel mio precedente post, sono state più che rispettate.  I quattro chef protagonisti dell'imperdibile jam session culinaria, Gaio Giannelli,  Alessandro Filomena, Angelo Torcigliani, Andrea Madonia, hanno interpretato il loro ruolo con grande professionalità e partecipazione, condite con verve,  simpatia, piacere della convivialità e dell'amichevole collaborazione, e hanno offerto una serata indimenticabile dall'atmosfera rilassata e gioiosa, in un contesto affascinante.




Un po' di backstage  in cucina prima del via. Innanzitutto la foto di gruppo dei "fantastici quattro"
 Alessandro, Angelo, Andrea e Gaio

Marco Bellentani, organizzatore e moderatore della serata, supervisiona le preparazioni in cucina.

Lavoro di squadra: tutti assieme appassionatamente ad aprire le cozze per l'antipasto  di Filomena, Gabriele Vannucci (con i singolari occhialoni verdi) pastry chef, amico e collaboratore di Angelo Torcigliani, Angelo, Alessandro e Andrea


Angelo Torcigliani prepara la sua sauce tomate à l'ancienne, spremendo cioè  i pelati con le mani, perché "non c'è attrezzo migliore delle proprie mani"

Gaio sforna le mitiche  "schiacciatine", sottili e croccanti. Ma ci regala anche delle goduriose sfogliatine farcite con  foie gras e nocciole mentre il barman inizia a deliziare gli ospiti con cocktail speciali elaborati con i liquori della linea Essentiae di  Bosoni di cui poi gusteremo anche i vini.


Questo era solo per ingannare l'attesa mentre gli ospiti arrivavano alla spicciolata,  poi si passa al vero aperitivo, nel "chiringuito" sulla spiaggia! Squisito prosciutto delle montagne apuane rigorosamente tagliato al coltello da Gaio, meraviglioso e fragrante pane scuro a lievitazione naturale e un raffinato e fresco Montellori brut pas dosé 100% chardonnay. Una partenza coerente, essenziale ed elegante, sublime semplicità, come volevasi dimostrare. 



Ci accomodiamo al tavolo, mio marito ed io, insieme a Diego Bosoni, azienda vinicola  Lunae con un suo simpatico amico, Evelina Nappini, in rappresentanza di  Fattoria Montellori e Paolo Petroni dell'Enoteca Vanni di Lucca, una piacevolissima compagnia estemporanea che devo abbandonare  spesso (ma li avevo avvisati  sin dall'inizio della cena scusandomi) causa missione foto. Dura vita da food blogger!

Il comparto vinicolo: Diego Bosoni ed Evelina Nappini - foto Simona Palumbo

In realtà, mi diverto un mondo ad intrufolarmi, come mia abitudine, in cucina, insieme a Simona Palumbo, a parlare con gli chef ed immortalare i preparativi. Le sue foto sono bellissime, lei è una professionista ed ha un occhio felice, coglie il cosiddetto attimo, è bravissima! E' riuscita a far mettere in posa anche mio marito, nel set preparato per immortalare tutti gli ospiti,  e ci ha regalato un ritratto da incorniciare.

E ancora, qualche ritratto vip di Simona Palumbo:  il primo cittadino di Forte dei Marmi Umberto Buratti con la gentile consorte


Fubi's family: Stefano Fubiani e la bella moglie Tiziana Antoni



Tocca a Filomena aprire le danze con le sue cozze ripiene ripiene, un classico versiliese, robusto, verace  e popolare,  che l'impeccabile chef del Franco Mare di Marina di Pietrasanta, propone in una personale e sorprendente rilettura.


Come ci spiega lo stesso autore, le cozze vengono aperte, farcite con macinato di manzo, parmigiano, pane, aglio e pepe,  richiuse, messe sotto vuoto e cotte a vapore anziché affogarle nella salsa di pomodoro come tradizione vuole. La salsa di pomodoro viene messa sul fondo del piatto insieme ad una seconda salsa  straordinaria realizzata con pane di grano arso a lievitazione naturale e acqua delle cozze. Sopra le salse vengono adagiate le cozze,  aperte e sgusciate solo al momento del servizio, in modo che mantengano tutti i loro preziosi umori e sprigionino  il loro caratteristico aroma.  Completa il piatto una spuma di pecorino soffice e intensa per un risultato complessivo potente eppure elegante. Parafrasando una celebre definizione di un grande rosso italiano: pugno di ferro in guanto di velluto.


Il profumato  e intenso Colli di Luni VermentinoLunae, etichetta nera,  di Cantine Lunae, sposa con successo questo felice esordio del simpatico chef, che ho finalmente il piacere di conoscere e che scopro avere origini conterranee,  e mi riprometto di andare a trovare quanto prima perché galeotta fu la cozza!

Dopo l'antipasto, è la volta di Angelo Torcigliani, appassionato e virtuoso chef e titolare del Merlo di Camaiore che conosco e apprezzo ormai da qualche anno. Angelo si esibisce con il suo pentolo, direttamente sulla spiaggia mentre uno spicchio di luna fa capolino, e risotta le sue penne alla Maitò,  declinate in versione  delicatamente arrabbiata con una superba salsa di pomodoro, insaporita da un'infusione di olio extravergine d'oliva, succo d'aglio e peperoncini piccanti coltivati personalmente da Angelo e che tapezzano un'intera parete del  giardino del Merlo.  Succulenta semplicità abbracciata ancora dal vermentino lunigiano.



Gaio Giannelli, infaticabile patron, chef e anima del Pozzo di Bugia di Querceta, gaio di nome e di fatto, grande  gaudente e vero  deus ex machina della  sede diurna, ovvero il  Ristorante del Minerva Beach, nonché artefice di Forte Vintage con la collaborazione dell'amico Marco Bellentani, fa la sua apparizione sul green carpet della spiaggia con un classico e scenografico carrello da sala, la cui cupola argentata cela una succulenta e morbidissima vitella da latte cotta per ventiquattrore in forno a 50-60° C, affettata direttamente dal Giannelli, con tanti aiutanti tutt'intorno a leccarsi baffi e dita, e servita con immancabili e impeccabili patate arrosto e verdure al forno. Un piatto confortevole che più confortevole non si può. Magistrale semplicità e amarcord per Bruno Vietina, fondatore dello storico Maitò, dove Gaio muove i suoi primi passi nel mondo della ristorazione.


Anche il sindaco di Forte dei Marmi assiste e commenta il taglio in uno scambio di battute e commenti divertenti col capannello di gente che piano piano si raggruppa intorno al carrello della vitella.  Uno spettacolo nello spettacolo.



Dicatum 2007, corposo sangiovese 100% affinato per un anno in tonneaux da 500 litri, Fattoria Montellori, per la speciale vitella

E si conclude in bellezza con il più giovane del gruppo, Andrea Madonia, creativo e fantasioso chef di Fubi's, nicchia gastronomica viareggina creata dall'intraprendente Stefano Fubiani, fra gli ospiti della serata insieme alla splendida moglie. A Madonia è stato affidato l'arduo compito di reinterpretare un evergreen versiliese, mito della gelateria artigiana locale: il dessert Versilia un semifreddo in barattolo, a base di gelato alla crema e cioccolato con base di pan di spagna e liquore di cui esistono anche molte varianti e gusti.

Andrea  non snatura la composizione del dolce, rimescola ma rispetta gli ingredienti, gioca con la presentazione e ne propone due tipologie: una composta in una mezza sfera di cioccolato adagiata in equilibrio su un dischetto di pan di spagna e una versione a forma cilindrica, racchiusa da una pellicola di amarena a ricordare il barattolo stesso.

Sorpresa finale con una perla rara che Diego Bosoni offre con generosità : Refursà Cinque Terre Sciacchetrà 2009  (unica annata prodotta), avvolgente, morbido e intrigante con raffinate note di miele e cedro candito bilanciate dalla freschezza e sapidità del vermentino rivierasco.

Dei semplici biscotti casalinghi accompagnano lo Sciacchetrà e non vice versa. E il cerchio si chiude, la semplicità si sublima in un  piccolo gran finale di una serata orchestrata magistralmente e condotta con viscerale passione e grande divertimento da parte degli stessi autori per il piacere dei commensali, cullati, dimenticavo, anche dal piacevole e sobrio sottofondo musicale, giustamente vintage,  con la voce e chitarra di Corrado Cricco.

Abbandoniamo a malincuore l'allegra compagnia ma una volta tanto, non sono la prima a scappare, grazie alla presenza del consorte, superiamo abbondantemente la mezzanotte anche se ci aspetta un'ora d'auto per rientrare; prima però non scampiamo alla  foto di gruppo di rito con chef, sous-chef, vignaioli, ristoratori, amici e mariti, giornalisti e ...ops...una food blogger! Ancora un bello scatto opera di Simona Palumbo, La Fonderia.


Al prossimo Forte Vintage, direi, che ha tutte le carte in regola per diventare un vero appuntamento mondano  ma sobrio e verace nel migliore stile forte marmino, coerentemente semplice e sublime secondo il verbo di  Gaio Giannelli. Amen!

Grazie Gaio, Marco, Simona, Alessandro, Andrea, Angelo, Diego, Evelina  per la splendida serata e buona estate a tutti!






PERCHE' IL PESCE AZZURRO E' AZZURRO?

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Foto dal web

Vi siete mai chiesti perché il pesce azzurro è azzurro? Bella domanda eh?
Qualunque testo relativo al  pesce azzurro  esordisce specificando che tale definizione non ha valore biologico o scientifico ma  identifica varie specie che si caratterizzano per una colorazione blu-azzurro sul dorso, bianco-argentea sul ventre, con caratteristiche organolettiche e peculiarità nutrizionali simili, di facile reperibilità e prezzo contenuto.
Pochi però spiegano il perché di questa colorazione.
Ma c'era un'altra domanda che mi assillava: da quando abbiamo iniziato ad utilizzare tale definizione?

Ci voleva il Calendario del Cibo Italiano Aifb e la sua settimana dedicata al pesce azzurro, che inizia oggi, e che è stata affidata, inutile dirlo, a Poverimabelliebuoni, per stimolarmi ad approfondire l'argomento, fare ricerche  e trovare le risposte.

Curiosi? Leggete il mio articolo sul sito Aifb!


Sarde, sgombri, acciughe, palamita, leccia stellata e aguglia (quella che sembra un'anguilla con il becco affusolato)

Ad apertura della settimana, ho contribuito, oltre che con l'articolo, anche con una ricetta che ha come protagonista la palamita, uno dei miei azzurri preferiti.



La palamita, che si legge con l'accento sulla i, da non confondere con il palàmito che è un sistema di pesca, è un pesce predatore, pelagico e gregario, appartenente alla famiglia degli scombridi e il suo nome scientifico è sarda sarda anche se spesso viene scambiata per un tonnetto. Tutto chiaro?
E' molto diffusa nel Mar Mediterraneo ma si trova anche nel Mar Nero e nell'Oceano Atlantico, sia in alto mare che lungo le coste soprattutto in primavera/estate, durante la riproduzione.
Può arrivare a misurare fino a 80 cm di lunghezza per 10 kg di peso.
Come tutto il pesce azzurro, le sue carni sono ricche di nutrienti importanti tra cui omega3,  vitamina A e fosforo.
Erroneamente considerata un parente povero del tonno, ha carni sode e gustose con una punta di acidità, che possono essere cucinate in vari modi: alla griglia, in umido, in olio cottura, sottovuoto, possono essere conservate  sott'olio ma può anche essere apprezzata cruda o appena scottata in stile tataki giapponese.
A tale proposito è bene rammentare  che per il consumo  di pesce crudo, una circolare del  ministero della salute del 2013  invita all'abbattimento o congelamento preventivo al fine di neutralizzare parassiti come il temibile anisakis: nei freezer domestici  si consiglia 96 ore a -15° C; approfondimenti QUI

Inoltre La palamita del mare di Toscana è un presidio Slow Food 


Prima di passare alla ricetta, desidero ringraziare tutti gli amici blogger che hanno contribuito nella giornata d'inizio della settimana del pesce azzurro e invito tutti a partecipare per tutta la settimana lasciando il proprio link nei commenti del post dedicato sul sito Aifb

Erica Zampieri - Sapori e dissapori con le Sarde alla Beccafico...vestite a festa
Antonella Eberlin - Cucino io con Tortiera patate e sarde.
Giuliana Fabris - La gallina vintage con    Polpette perfette   
Dani Pensacuoca - Acqua e menta con  un servizio su Chef Deborah Corsi, la regina del pesce azzurro
Maria Teresa Cutrone - Degustibus Itinera con  Involtini di sgombro
Alessandra Molla - Sweet Cake by Lalla con Torta salata con erbette e sgombro
Daniela Ceravolo - La forchetta sull'atlante con Cotolette di sardine


PALAMITA SOTT'OLIO




1 palamita intera da 1,5 kg
2 l d’acqua
1 l d’olio extravergine d’oliva dal gusto delicato
1 carota piccola
1 gambo di sedano
½ cipolla bionda
1 ciuffo di prezzemolo
1 cucchiaio di grani di pepe nero
Sale grosso qb
Foglie d’alloro e rametti di rosmarino


Eviscerate la palamita, lavatela accuratamente per eliminare ogni traccia di sangue, asciugatela con carta assorbente.
Preparate un court-bouillon in una pescera capiente con l’acqua, le verdure e il prezzemolo, portate ad ebollizione e in seguito abbassate la fiamma, fate sobbollire a fuoco dolce, a pentola coperta, per dieci minuti, salate e  immergete la palamita intera, facendo andare sempre dolcemente per 15-20 minuti. Lasciate intiepidire un poco il pesce nella sua acqua di cottura. Infine toglietelo, spellatelo, spinatelo  e ricavatene dei filetti. Tamponate la polpa ottenuta con carta assorbente. Riponete in frigo avvolta dalla carta per almeno un giorno per farla asciugare perfettamente.

Sterilizzate in forno a  100° C per 7-8 minuti dei vasetti di vetro, con i loro coperchi.  Fate raffreddare un poco, colmateli con la polpa di palamita tagliata a tocchetti, versatevi sopra l’olio e inserite, in ogni vasetto, un rametto di rosmarino, una foglia di alloro ben pulite e qualche granello di pepe nero schiacciato. Fate assorbire tutto l’olio e poi rabboccate se necessario fino a coprire completamente il pesce.
Lasciate riposare 10-15 gg prima di consumare.




LA MOSTELLA E IL PESCE DIMENTICATO

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L'espressione  "pesce dimenticato"è  comparsa di frequente nei post di Poverimabelliebuoni sin dai suoi esordi. 
Juri Badalini del blog Acqua e Menta, ce ne parla oggi come ambasciatore per il Calendario del Cibo Italiano Aifb nella   giornata nazionale dedicata al Pesce Dimenticato


Naturalmente, visto il tema, non potevo esimermi dal fornire anche il mio contributo e condividere le mie esperienze.
Qualche anno fa, esattamente nel 2013, fui "pescata" letteralmente in rete da Daniela Mugnai, della quale sono poi diventata amica, dell'agenzia Coffee, responsabile della comunicazione di Vetrina Toscana e coordinatrice del progetto per la promozione del Pesce Dimenticato, sostenuto dalla Regione Toscana in sinergia con vari enti, che ha organizzato nell'arco dell'esistenza del progetto, diverse manifestazioni ed attività interessanti a molte delle quali ho avuto il piacere di partecipare.
Qui il mio primo convegno  a Castagneto Carducci: Il pesce dimenticato incontra i frutti dell'orto dove conobbi lo chef Maurizio Marsili, attivo testimonial del progetto e uno dei primi chef  a promuovere e a sensibilizzare i consumatori in materia.
Tra le varie attività, molto bello fu il progetto formativo delle scuole alberghiere e altre iniziative lodevoli quali "la formula antispreco" a cura di Marsili nelle cucine della Caritas di Firenze, l'istruzione dei cuochi delle mense scolastiche, la realizzazione di una pubblicazione TUTTI MATTI PER IL PESCE DIMENTICATO a cui ho contribuito con altri amici food blogger e molto altro qui.

Il sito internet de Il Pesce Dimenticato non è più attivo, rimane però la pagina fb che continua a promuovere iniziative e pubblicare articoli in merito.

Ma cosa s'intende per "pesce dimenticato"?
E' il pesce "dimenticato" o meglio " snobbato" dal mercato per mancanza di conoscenza o semplicemente per comodità, perché si preferiscono pesci "facili", considerati più pregiati, a scapito di altri magari piccoli, liscosi, difficili da pulire, da sempre definiti "poveri" ma tanto buoni!!

Sensibilizzare le persone al consumo di questi pesci dimenticati  è importante sia dal punto di vista nutrizionale che da quello biologico. Se infatti riusciamo ad infondere la conoscenza e la cultura del consumo di questi prodotti ittici, determineremo una maggiore diversificazione delle specie vendute, ottenendo un più efficiente sfruttamento delle risorse marine con notevole riduzione del pesce scartato e ricadute positive sulla tutela della biodiversità marina. 
Nel Mediterraneo, delle circa 700 specie pescate, soltanto il 10% raggiunge i banchi delle pescherie, i mercati, i supermercati e quindi le nostre tavole. Questo perché solo una piccola parte dei prodotti ittici è realmente conosciuta ed apprezzata, il rimanente 90% rappresenta il cosiddetto “scarto” e non viene richiesto dal mercato, nonostante le caratteristiche organolettiche e nutrizionali siano analoghe se non superiori rispetto alle specie pregiate.
Ciò determina un impoverimento delle risorse ittiche pregiate con un aumento della pressione sulle specie commerciali e un aumento consistente delle importazioni (ad oggi in Italia il 69% del pesce consumato proviene dall’estero).
Per poter invertire questa tendenza è importante promuovere la conoscenza di alcune specie di pesce dimenticato come acciuga, sardina, muggine, palamita, pesce sciabola, potassolo, razza,  sugarello, leccia stellata, tombarello, torpedine, lampuga....ma anche cefalopodi come totani e moscardini bianchi...... e riscoprire o rivisitare ricette tipiche della nostra tradizione culinaria di cui queste specie sono protagoniste.

Va anche detto però che la definizione di pesce dimenticato è ampia e variabile, perché alcune specie sono considerate "dimenticate" in alcune regioni e in altre invece sono  ben note e ben sfruttate come per esempio la palamita, che  in Toscana è molto utilizzata e altrove è poco conosciuta, stessa cosa dicasi per il pesce sciabola, comune in Sicilia e Calabria e scarsamente presente invece in altre regioni costiere come Liguria e Toscana.

Risultato immagine per poverimabelliebuoni pesce sciabola

A proposito di Pesce Sciabola, o Spatola, proprio quest'ultimo però sembra stia vivendo un momento di discreta auge, grazie probabilmente alle politiche di sensibilizzazione degli anni passati. Oppure "per colpa di Poverimabelliebuoni" come mi sono sentita dire in pescheria qualche settimana fa quando mi sono stupita del prezzo dello sciabola lievitato a € 13,5/kg quando lo ricordavo a 6-7!!! Mi hanno detto che lo chiedono in tanti, è diventato di moda. Ma bene!!!!

Tornando alle attività del progetto Il Pesce Dimenticato, ricordo che fra i  tanti pesci che ero stata invitata a provare, c'era anche la Mostella o Musdea, di cui avevo letto o sentito parlare ma che non avevo proprio mai visto sui banchi dei pesci.
Come al solito incominciai a tartassare di richieste la mia pescheria di fiducia ma pare che queste Mostelle siano difficili da reperire anche perché ce ne sono poche e i pescatori se le tengono per sé, mica stupidi :-)
Ho capito perché quando finalmente l'ho trovata e l'ho assaggiata.
Brutta a vedersi, non invita proprio, ma sono abituata a pesciacci poveri, brutti ma buoni.
Inutile dire che è un pesce del nostro mare, vive sia in fondali fangosi che intorno agli scogli, quest'ultime sono le più pregiate. Il prezzo varia a seconda del mercato ma in confronto ad altri pesce più blasonati, costa mediamente un terzo, da € 6-7, quelle di fondale a 10-12/kg quelle di scoglio!! Capponi/Scorfani e gallinelle, intorno ai 30 €!!
Le sue polpe sono squisite, niente da invidiare ad un pesce cappone o a una gallinella; perfetta quindi per un umido, lessata o al vapore.
Ho optato per l'acqua pazza, cotta cioè nella pescera con aglio, olio extra vergine d'oliva,  pomodorini, capperi, acqua di mare e acqua naturale (proporzione 3:1), prezzemolo, niente sale perché avevo già l'acqua pazza, cioè quella di mare (biologicamente pura, si trova in commercio, non si va col secchiello al mare!!!)


Mostella di fondale quella più grande e chiara, mostella di scoglio quella in primo piano, più piccola
Non le ho fotografate da cotte, non è un grande spettacolo a vedersi! Ma è un pesce veramente squisito, da intenditori! Provare per credere, se le trovate....anzi io romperei le scatole alle pescherie per farmele procurare!

GNOCCHI DI PATATE ALLA BUZZONAGLIA DI TOMBARELLO

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A settembre tutto riparte, dopo la pausa estiva, e riprende anche il nostro  bellissimo gioco-scuola, l'Mtchallenge!! Dal 1° settembre, grazie al lavoro di tante mtcine operose e bravissime,  il sito ha  una nuova veste grafica e una nuova impaginazione che permette di consultare agevolmente tutte le belle ed interessanti rubriche annesse e connesse alla sfida più pazza del web!

anche il banner ha una nuova grafica opera della mitica Mai, blog Il Colore della Curcuma

La sfida di settembre, come illustrata nel banner,  verte su una preparazione classica : gli gnocchi di patate, lanciata da Annarita, del blog Il Bosco di Alici,  in gergo emmeticino "summer-culattacchion", cioè invidiata vincitrice della sfida precedente di luglio; invidiata perché con la sospensione della sfida a luglio e agosto, la fortunata ha avuto due mesi per pensare al tema della sfida seguente, anziché i 5 giorni abituali, privilegio che capita solo due volte l'anno, l'altra sospensione è nel periodo natalizio. (Regolamento Mtc)
Invidiata e ammirata perché non solo è già alla sua seconda vittoria Mtc, ma si è aggiudicata la  difficilissima sfida sulla pizza che io ho clamorosamente saltato, arrendendomi dopo ben due prove fallimentari ma solo per mancanza di tempo, non per mancanza di volontà! Mi riprometto infatti di riprovarci quando la stagione rinfrescherà un po' perché questo settembre ci sta facendo friggere ancora!

E allora gnocchi! Sembra facile ma non lo è proprio o meglio, l'esecuzione è facile ma  non è facile ottenere il giusto risultato, bisogna scegliere le patate adatte e  dosare correttamente la farina per  arrivare alla consistenza ottimale. Che poi è una questione anche di gusto personale, ok ma sicuramente gli gnocchi non devono essere né troppo molli, che si spappolano in cottura, né troppo gommosi e duri che se li tiri contro il muro ci rimbalzano o quando li mastichi ti rimane incollata la dentiera!!

E scatta l'amarcord, come spesso succede per i temi emmeticini. Ecco che in molti anelano ai mitici gnocchi della mamma o della nonna o della zia (non ho ancora letto di gnocchi fatti da nonni, papà e zii....). Non ne sono esente. Gli gnocchi mi fanno ripensare a mia nonna paterna, Maria.
Nonna Maria  non era una gran cuoca, faceva poche cose e neanche tanto bene ma gli gnocchi le venivano speciali, erano giganteschi ma proprio buoni, né troppo morbidi, né troppo consistenti.
La osservavo mentre li preparava e la cosa che mi divertiva di più era quando imprimeva la rigatura con la forchetta. Io volevo aiutarla ma lei non me lo permetteva, per paura che mi potessi ferire con la forchetta (e aveva ragione perché ero e sono maldestra, specializzata nel farmi male da sola soprattutto quando armeggio in cucina).
Un altro ricordo legato agli gnocchi risale al periodo di fidanzamento con colui che sarebbe poi divenuto mio marito. I migliori che abbia mai mangiato, da Vasco alla Melatina, tra Cecina e Volterra. Un ristorante di campagna ruspante e verace dove trovavi anche le galline o altri animali da cortile razzolare liberi fra i tavoli all'aperto e d'inverno, questi gnocchi, anzi "topini" come li chiamano qui, soffici batuffoli di patate, così morbidi che si scioglievano in bocca, con un ragù di carne succulento e saporito, ti confortavano  davanti al camino acceso con il vino rosso nel fiasco e i racconti di Vasco, che è scomparso ormai da anni, regalando alla memoria emozioni irripetibili ed  immagini indelebili.
Non ho mai sentito il desiderio di cimentarmi con gli gnocchi se non in tempi recenti, grazie al blog, ma non ho mai affrontato quelli senza uovo, pertanto per me è una vera sfida e sono partita con quelli più difficili.

Dopo aver letto il dettagliatissimo post di Annarita che consiglia innanzitutto i tipi di patate ideali, sono scattata alla ricerca delle patate vecchie, bianche e farinose. Non avrei mai pensato che la cosa più difficile fosse reperire le patate vecchie!! Non se ne vedono in giro a meno di non scovarle in qualche fondo di magazzino. Senza ammattire troppo, lo ammetto, ho ripiegato su quelle rosse, a pasta bianca, indicate da Annarita come valida alternativa.
Come condimento ho scelto un ragù, di pesce naturalmente.
Mi sono ispirata a delle tagliatelle con buzzonaglia di tonno mangiate tempo  fa al ristorante lo Scolapasta di Castiglioncello, dello chef  Michele Maltinti,  di cui ho scritto su Poverimabelliebuoni. Michele è cuoco e pescatore, lavora ogni parte dei pesci pescati, soprattutto quelli grandi come tonni, lecce e ricciole.
La buzzonaglia è la parte più vicina alla spina dorsale, ricca di vasi sanguigni, dal colore rosso scuro e dal gusto molto intenso e ferroso. Un taglio poco pregiato di questi pesci,  ben noto al sud, soprattutto in Sicilia e Calabria e anche in Sardegna, che viene solitamente inscatolato, messo sott'olio o essiccato. Sia fresca che sott'olio si usa per condire la pasta.
Michele l'aveva lavorata fresca facendoci un ragù come se fosse polpa di selvaggina e quindi con tutti gli odori del caso.
Non trovando  il tonno nostrale, avrei ripiegato sulla solita palamita e invece il banco dei pesci mi ha offerto il tombarello che è perfetto, perché ha carni sanguigne come il tonno. E' un pesce azzurro della famiglia degli scombridi, sembra un grosso sgombro infatti con i disegni sulla livrea azzurro-argentata simili a quelli dello sgombro, non raggiunge il mezzo metro di lunghezza e un chilo e mezzo di peso, quindi si trova in piccole pezzature e costa la modica cifra di € 7-8/kg a seconda del mercato.


Non avevo la ricetta, l'ho elaborata in base all'esperienza e il risultato mi è sembrato interessante, sicuramente un gusto robusto, per appassionati di pesce azzurro, ma che,  mitigato dalla dolcezza degli gnocchi di patate, offre un buon connubio e sembra un vero ragù ma è diverso: un  ragù diversamente ragù, per parafasare l'amica di Camaiore!


GNOCCHI DI PATATE ROSSE ALLA BUZZONAGLIA DI TOMBARELLO


Per gli gnocchi, ho ridotto le dosi indicate da  Annarita per 4 persone, dovendo preparare solo due porzioni ma, hai visto mai che faccio i soliti casini, opto per un quantitativo appena superiore alla metà esatta, 400 grammi, e quindi, da brava scolara, faccio le proporzioni:  600 : 180 = 400 : x e ottengo 120 g di farina. Pronti? Via!

Dosi per 2 porzioni abbondanti

Per gli gnocchi
400 g di patate rosse a pasta bianca
120 g di farina (90 g effettivi)
un pizzico di sale

Per il ragù
120 g di buzzonaglia di tombarello (o tonno/ricciola/palamita) ottenuta da un pesce di 800 g circa
1 cucchiaio colmo di trito sedano/carote/cipolle bionde/aglio
1 foglia di alloro
1 rametto di rosmarino
3-4 foglie di salvia
2-3 bacche di ginepro
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
1 tazzina da caffè di vino rosso (20/30 cl)
acqua qb
sale e pepe qb
olio extra vergine d'oliva


Come primo step, sfiletto il pesce e ricavo la buzzonaglia, come si vede bene dalle foto, è quella venatura più scura lungo la spina dorsale. Il resto della polpa, l'ho destinato ad altra preparazione.
Infine trito la buzzonaglia proprio come un macinato per il ragù carnivoro.


Ho fatto rosolare il trito con le erbe e due cucchiai d'olio d'oliva in una casseruola per qualche minuto, ho aggiunto la buzzonaglia tritata, fatto insaporire, sfumato col vino e infine diluito il tutto con qualche cucchiaiata di acqua calda in cui ho sciolto il concentrato di pomodoro. Ho lasciato cuocere per una decina di minuti col coperchio a fuoco dolce, tolto il coperchio, ho fatto asciugare quanto basta, infine ho regolato di sale e pepe.


Poi mi sono dedicata agli gnocchi. Ho cotto le patate nel microonde, come faccio sempre, nella pirofila apposita, senz'acqua, bucherellandole e girandole a metà cottura, potenza massima 6 minuti in totale.  Le ho sbucciate ancora bollenti, bruciacchiandomi solo le dita della mano destra dove avevo il coltello per pelarle, perché le reggevo con una forchetta nella sinistra. Schiacciate, separate con il tarocco  (avevo pure il tarocco e non lo sapevo) per far uscire il vapore, e inizio ad unire la farina poco alla volta e impasto. Me ne prende pochissima, "così poca?" mi chiedo; non mi fido e ne aggiungo ancora un'idea, poi peso il rimanente, avevo usato solo  90 g  di farina. "speriamo bene" e continuo, eppure stanno insieme! Arrotolo, taglio e imprimo finalmente la tanto agognata rigatura con la forchetta, mi diverto, sarei andata avanti tutta la giornata a rigare gnocchi, ci avevo preso la mano e gusto.
Prima di cuocerli, faccio la prova, lesso qualche cantuccio di impasto. Non si disfano nell'acqua, evviva! Assaggio, niente male, morbidi al punto giusto, sono proprio contenta, buona la prima, chi l'avrebbe mai detto?

Però una cazzata la faccio e te pareva.....era pomeriggio quando mi sono messa all'opera, li avremmo poi mangiati per cena e, dal momento che avrei dovuto fotografarne un piccolo quantitativo finché c'era una bella luce naturale, ne lesso una manciata e  li condisco con una cucchiaiata di ragù, senza assaggiare, non mi andava proprio come merenda!!

La sera, prima di buttare tutto il resto, assaggio il ragù, mancava qualcosa, ho aggiunto del concentrato di pomodoro e soprattutto, quando ho lessato gli gnocchi e li ho messi ad insaporire nel ragù, mi sono accorta che in quelli della foto ero stata un po' parca nel condimento, perchè gli gnocchi vanno conditi senza parsimonia, devo essere succulenti; quelli della sera erano infatti  più "ragù con gnocchi" ed erano anche più colorati e attraenti ma ormai le foto le avevo fatte e quando ho pensato di tenerne un mucchietto da parte per l'indomani da ri-fotografare, era tardi, avevamo ripulito tutto, leccandoci i cosiddetti baffi!!! Amen!



GNOCCHETTI ALLE MANDORLE, POLPA DI RICCIO E LATTUGA DI MARE

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La mia seconda proposta per l'Mtchallenge n. 59, la sfida sugli gnocchi, lanciata da Annarita del blog Il Bosco di Alici.

Nei miei primi gnocchi alla buzzonaglia di tombarello, avevo affrontato la prova di quelli classici senza uova, questi vedono l'aggiunta di una farina diversa, sempre senza uova, secondo l'esempio di Annarita con la farina di nocciole, e io ho provato quella di mandorle. E' stata una scelta ponderata ovviamente ma vorrei sorvolare, o almeno limitarmi,  sulle solite spiegazioni dei vari meccanismi mentali, riferimenti e ispirazioni che mi hanno portato al concepimento del piatto, per cui spesso rasento la paranoia, come ebbe a commentare (a ragione)  la Van Pelt e di cui faccio tesoro!

Ma un minimo di premessa/spiegazione è d'obbligo. Semplicemente l'idea di fondo era  l'ultilizzo delle alghe (o in polvere o fresche) per gli gnocchi e una crema di uova fresche di pesce come condimento. Alghe, non solo per fare la figa ma per creare un piatto che sapesse di mare dentro e fuori.
Purtroppo per le uova, siamo fuori stagione,  anche se non ci sono più le stagioni di una volta neanche in mare e i pesci fanno come gli pare, ma insomma non ho trovato pesci con uova. Allora ripiego su altre uova, quelle dei ricci di mare che mi piacciono tanto. Di ricci  sugli scogli dove vado a fare il bagno ce ne sono tanti ma non mi avventuro con guanti e coltello, sono imbranata e maldestra, mi faccio male di sicuro, nessun amico pescatore a disposizione, ripiego su quelli in scatola, alla mia pescheria ne hanno di ottima qualità, anche se quelli freschi sono incomparabili. In commercio si trovano anche surgelati,  ci si può accontentare.
Dal momento però che la polpa di riccio ha un gusto molto intenso e penetrante con robuste note iodate, non posso mettere le alghe anche negli gnocchi, sarebbe troppo, però non voglio rinunciarci. 
Mi si accende la lampadina per la farina di mandorle e, immediatamente, mi viene in mente il risotto ostriche, mandorle e lime della mia maestra, la chef  Deborah Corsi, nota musa ispiratrice di Poverimabelliebuoni,  che promuove la mia idea e non boccia l'uso delle alghe ma lo modifica, suggerendomi e fornendomi proprio materialmente la lattuga di mare che lei usa nella sua cucina.
Mi sembra superfluo sottolineare che in quanto a note iodate, ostriche e ricci di mare se la danno. Opto però per  la scorza di limone (nel risotto corsiano invece c'è il succo di lime) perché i ricci di mare non si mangiano crudi direttamente sullo scoglio con una spruzzata di limone?
La lattuga di mare diventa comprimaria, dosata in piccole quantità, ne sottolinea il gusto e non lo sovraccarica come avrebbe potuto rischiare di fare se l'avessi usata nell'impasto degli gnocchi.
Inoltre, tocco estemporaneo, mentre impasto gli gnocchi grattugio un po' di scorza anche nell'impasto (come mi sono piaciuta, che ideona!!)

Ecco, alla fine ho spiegato tutte le elaborazioni mentali, tralasciando solo la quantità di libri che ho scartabellato!

GNOCCHETTI ALLE MANDORLE, POLPA DI RICCIO E LATTUGA DI MARE


Ingredienti per 2 porzioni

Per gli gnocchi
400 g di patate rosse a polpa bianca
50-60  g di farina 00
40 g di farina di mandorle
10 g di granella fine di mandorle
la scorza grattugiata di 1 limone non trattato
semola di grano duro per la spianatoia qb

Per la salsa al riccio
60-70 g di polpa di riccio
1 spicchio d'aglio rosa di Voghera grande
qualche scorzetta di limone non trattato
lattuga di mare sotto sale qb
olio di arachidi per friggere qb
olio extravergine d'oliva delicato, non amaro (olio da olive taggiasche o nocellara)
peperoncino Jalapeno (media piccantezza)  in polvere
sale qb


Lavate le patate, non asciugatele, bucherellatele e ponetele in una pirofila con coperchio. Cuocetele nel microonde a potenza massima per 3-4 minuti, poi giratele e continuate per altri 3-4 minuti a seconda della pezzatura delle patate.
Spellatele e passatele nello schiacciapatate ancora bollenti, facendo cadere i fiocchi ottenuti direttamente sulla spianatoia. Stendetele e separatele con una spatola per farle arieggiare, infine unite poco alla volta le farine, la scorza di limone grattugiata, un pizzicotto di sale fino e impastate.
Stendete la pasta a forma di mattonella, tagliate delle righe di 1 cm di lato per 1 cm di altezza, arrotolatele e tagliatele a tocchetti di 2 cm di lunghezza. Formate delle palline (che dovranno risultare non più grosse di una nocciola) e infine schiacciate le palline sul riga gnocchi. In questo modo gli gnocchi assumono una forma più tondeggiante.


NB: prima di formare gli gnocchi provate a cuocere qualche tocchetto di impasto per controllare la giusta consistenza. Per un condimento molto cremoso, propenderei per degli gnocchi un po' più consistenti, per questo motivo io ho messo tutta la farina  prevista + una piccola aggiunta di 00 perché dopo la prova, erano troppo morbidi.

Altra nota: questi gnocchi li volevo piuttosto piccoli, ho comperato il riga gnocchi apposta, che ha una rigatura fitta, altrimenti la forchetta avrebbe impresso solo due righe!! I primi che ho fatto erano dei cilindretti di 1 cm ma mentre  li rigo, con una gran pazienza perché sono proprio piccini, non mi accorgo e imprimo la rigatura ad alcuni che avevo già fatto e noto che li avevo ripassati nell'altro verso quindi sono risultati a quadretti o meglio tartarugati!! In verde, con una farina di spinaci per esempio, sarebbero degli gnocchi Ninja! Non sarebbe stata una cattiva idea ma in cottura poi si perde la tartarughina a meno di farli belli grandi perché il secondo passaggio sul riga gnocchi li assottiglia molto e non tengono bene,  allora ho abbandonato. Li pubblico perché sono troppo simpatici!!


Mettete l'acqua al fuoco per lessare gli gnocchi, aggiungete il sale grosso; contemporaneamente scaldate l'olio per friggere la lattuga di mare che avrete ben dissalato in acqua abbondante e tamponata con carta assorbente per farla asciugare.


Per la salsa al riccio, sbucciate l'aglio, togliete l'anima e schiacciatelo nello spremi-aglio o tritatelo finissimo fino a ridurlo in poltiglia. L'aglio è fondamentale nella salsa al riccio. Fatelo stufare in una padellina per qualche minuto a fuoco dolce, con due cucchiai d'olio, qualche scorzetta di limone e un po' di acqua calda, con il coperchio, in modo che rilasci tutto il suo sapore senza soffriggere e diventare acuto.
Aggiungete la polpa di riccio, stemperate ancora con un po' di acqua calda in modo da formare una salsa cremosa ma ben fluida, si deve appena insaporire, non deve cuocere molto, bastano due-tre minuti. Assaggiate, regolate di sale.

Friggete dei tocchetti di lattuga di mare nell'olio di semi di arachidi, raccoglieteli  con una schiumarola e ponete su carta assorbente.
Lessate gli gnocchi, scolateli e metteteli nella salsa, aggiungete un filo d'olio o, e non sarebbe un'eresia, una noce di burro che ingentilisce il gusto e dona cremosità, fateli mantecare brevemente nella salsa scuotendo la padellina, senza girarli con cucchiai o simili, se necessario allungate con un po' di acqua di cottura in modo da ottenere una salsa fluida perché tende a rapprendere velocemente (vedi fotografia fatta ormai a gnocchi freddi).
Versateli in scodelline da portata, decorate con tocchetti d'alga fritta e cospargete con un pizzico di peperoncino in polvere.

Ultime note: la nota mandorlata, intervallata dalla  scorza di limone, rende  lo gnocco molto raffinato,  e la sua aromatica dolcezza  sposa a meraviglia il gusto intenso del riccio e della lattuga di mare, infine la granella sotto i denti è gradevole e divertente! La lattuga di mare fritta soddisferà i  fanatici della nota croccante a compensazione della voluttuosa morbidezza del piatto; chi non lo ritiene necessario o magari non trova o non ama il gusto dell'alga,  può optare per una banalissima spolverata di classicissimo prezzemolo fresco tritato o friggere lo stesso a ciuffetti.








GNOCCHI RIPIENI GIRO D'ITALIA

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Non è tanto il rosa degli gnocchi e del sotto-piatto che richiama la mitica maglia del giro ciclistico nazionale, che è un  rosa più tenue, ma è proprio un giro  d'Italia che questo piatto compie.
Un giro incompleto ma ampio,  non sfuggiranno infatti agli appassionati di cultura e geografia gastronomica  i richiami a molte regioni del nostro stivale.
Propongo un test a tale proposito! Di solito racconto minuziosamente le motivazioni di ogni singolo ingrediente, con ogni riferimento a piatti noti o meno noti, provenienze e ispirazioni; questa volta sarò più ermetica, faccio semplicemente l'elenco, chi vuole divertirsi a trovare le risposte.....non si vince niente, così tanto per giocare e per saggiare la propria preparazione cultural-gastronomica. Siamo o non siamo all'Mtchallenge? il gioco culinario on line che mi appassiona dal 2011, per la precisione pochi mesi dopo il suo debutto nel 2010.  Ma l'Mtc  non è solo un gioco, è una vera scuola ma una scuola speciale dove si impara, cazz....cioè..... giocando e scherzando, nel rispetto delle regole però, perché chi sgarra, in castigo dietro la lavagna!!


La sfida di questo mese, la n. 59, lanciata da Annarita del blog Il Bosco di Alici,  ha come tema gli gnocchi in tre versioni:

1) di patate e farina bianca
2) di  patate,  farina bianca e altre farine
3) di patate ripieni , con farina bianca e/o altre farine e uova nell'impasto.

Gli gnocchi giro d'Italia sono la mia terza proposta, dopo gli gnocchi di patate con buzzonaglia di tombarello e gli gnocchetti alle mandorle con polpa di riccio e lattuga  di mare.

TEST:
Colore rosa: barbabietola
Patate Rosse a pasta bianca
Ripieno: aglio, capperi, acciughe, prezzemolo + caciotta dolce
Condimento : burro di bufala, semi di papavero, scorza di limone grattugiata (colatura di alici)

1. quante regioni italiane ci sono in questo piatto?
2. quali? 
3. indicate i riferimenti precisi ingrediente/piatto-regione

La soluzione in fondo al post. Vietato sbirciare fra gli ingredienti della ricetta sotto questa foto!


E ora la ricetta:

Ingredienti per 2 persone

per gli gnocchi
300 g di patate rosse di Colfiorito Igp
65 g di farina 00
10 g di tuorlo
15 g di albume
1 pizzico di sale
1 cucchiaio di polvere di barbabietola*
farina di semola per la spianatoia

per il ripieno
40 g di caciotta vaccina dolce (la mia della Garfagna, guarda un po' che coincidenza.....)
1/2 spicchio d'aglio rosso di Voghera/Sulmona
1 cucchiaio di capperi di Pantelleria sotto sale
2-3 acciughe intere sotto sale  di Monterosso/Cetara/Sicilia......
1 ciuffo di prezzemolo fresco

condimento
40 g di burro di bufala Lazio/Campania
semi di papavero bio qb
1 limone non trattato Costa d'Amalfi/Sicilia/Calabria.....
colatura di alici di Cetara qb (se necessaria).

* la polvere di barbabietola si trova già pronta in commercio oppure si possono far essiccare le barbabietole  crude,  tagliate sottilmente con la mandolina, in forno a 50-60 ° C per 5-6 h e poi ridotte in polvere. Ottima negli impasti che richiedono ingredienti asciutti come pasta fresca e gnocchi appunto.


Lavate le patate, non asciugatele, bucherellatele e ponetele in una pirofila con coperchio. Cuocetele nel microonde a potenza massima per 3-4 minuti, poi giratele e continuate per altri 3-4 minuti a seconda della pezzatura delle patate.
Mentre le patate cuociono, o anche prima di iniziare a preparare gli gnocchi, private  la caciotta della buccia, tagliatela a dadini piccolissimi, dissalate e sciacquate bene capperi e acciughe, diliscate le acciughe e tritatele finemente ma non riducetele, tritate anche i capperi e schiacciate l'aglio nello spremiaglio. Mescolate accuratamente tutti gli ingredienti in modo che si amalgamino perfettamente al fine di creare un ripieno uniforme.


Sbucciate le patate  e passatele nello schiacciapatate ancora bollenti, facendo cadere i fiocchi ottenuti direttamente sulla spianatoia. Stendetele e separatele con una spatola per farle arieggiare, infine unite poco alla volta la farina miscelata alla polvere di barbabietola, l'uovo,  un pizzicotto di sale fino e impastate. Usate la farina di semola per la spianatoia.
Stendete la pasta a forma di mattonella, tagliate delle righe di 2,5-3 cm di lato per 1 cm di altezza, tagliatele a tocchetti di 2,5-3  cm di lunghezza. Allargateli sul palmo della mano, farciteli con un po' di composto, richiudeteli, roteateli  fra le mani per formare delle palline di  2,5-3 cm di diametro. Io ho ottenuto 16 gnocchi.


Lessate gli gnocchi in abbondante acqua con poco sale. Prelevateli con la schiumarola e fateli insaporire in una padellina dove avrete sciolto il burro con i semi di papavero.
Disponete gli gnocchi nei piatti da portata, irrorate con tutto il burro, completate con una spolverata di limone grattugiato e guarnite con un ciuffetto di prezzemolo fresco. (quello della foto è sedano, il prezzemolo l'avevo tritato tutto!!!)


NB: prima di condire tutti gli gnocchi, assaggiatene uno, se, a seconda delle acciughe o capperi usati, il gusto vi sembra debole, potete aggiungere qualche goccia di colatura di alici nel burro che richiama il ripieno e lo sostiene ma dosatela al minimo!


VERIFICA TEST

Questo piatto è ispirato a due preparazioni tradizionali, una è tipica di Liguria/Piemonte, cioè l'insalata di barbabietole cotte condita con trito di aglio, capperi, acciughe e prezzemolo; l'altra sono i caziunziei ampezzani: ravioli ripieni di barbabietole conditi con burro e semi di papavero.


Ho fatto un mix, scelto un formaggio a pasta morbida dolce e, casualmente al supermercato mi è caduto l'occhio su una caciotta della Garfagnana, perfetta anche come omaggio ad  Annarita, d'origine garfagnina;  infine ho aggiunto un ulteriore tocco del sud con scorze di limone, suggerito da The Flavor Bible in abbinamento ai semi di papavero e che mi convinceva anche con tutto il resto; il  burro di bufala è un'idea gallitica et voilà, rien ne va plus!


barbabietole= centro nord Italia
insalata di barbabietole cs = Liguria/Piemonte
Caziunzei = Veneto
patate rosse igp Colfiorito = Umbria
aglio rosso Voghera/Sulmona = Lombardia/Abruzzo 
capperi di Pantelleria = Sicilia
acciughe sotto sale Monterosso/Cetara= Liguria/Campania
caciotta vaccina = centro Italia
burro di bufala = Lazio/Campania
semi di papavero = nord est: Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli
limoni = Campania, Sicilia, Calabria
colatura di alici = Campania

Aggiungete, commentate, suggerite, criticate pure!!




















VELLUTATA DI MARRONI AL FINOCCHIETTO, ARINGHE E JULIENNE DI RAPE BIANCHE

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Ma quanto sono buoni i marroni?
Talmente buoni da dedicare a questi squisiti prodotti del bosco una giornata  nazionale nel Calendario del Cibo Italiano Aifb, precisamente la Giornata Nazionale dei Marroni di Cuneo, di cui è ambasciatrice  Betulla Costantini del blog Betulla 

Se Betulla ci illustra,  nel suo bell'articolo, tutte le caratteristiche botaniche e le note culturali e storiche del marrone di Cuneo, io contribuisco con il Marrone del Mugello Igp.

Il Mugello, sicuramente conosciuto ai più per il suo autodromo internazionale, dove si disputa annualmente il Gran Premio d'Italia di motociclismo, è un'estremità toscana situata al confine con l'Emilia Romagna a nord di Firenze, i cui principali comuni sono Barberino di Mugello, Borgo San Lorenzo, Scarperia, San Piero e Vicchio.
L'esatta delimitazione geografica del Mugello è storicamente problematica, rispetto alle altre aree limitrofe, in particolare per le zone più montagnose per cui si è creata  la denominazione di Alto Mugello con cui da alcuni decenni si indicano impropriamente le aree situate oltre il crinale appenninico, sul versante romagnolo, ma che ricadono amministrativamente nella Regione Toscana.  Si tratta della conca di Firenzuola e di una parte della regione storica della Romagna Toscana, cioè le zone dei comuni di Marradi e Palazzuolo sul Senio. 

La zona di produzione del Marrone del Mugello Igp comprende i territori  comunali dei seguenti Comuni in provincia di Firenze: Borgo S. Lorenzo (Parte), Dicomano (Per intero), Firenzuola (Parte), Londa (Parte), Marradi (Per intero), Palazzuolo Sul Senio (Per intero), Rufina (Parte), S. Godenzo (Parte), Scarperia (Parte) e Vicchio Mugello (Parte).


Qui tutte le caratteristiche e i requisiti previsti dal disciplinare del Marrone del Mugello Igp.

Nel novembre del 2014 ho preso parte ad una manifestazione a Firenze, con il mitico Leonardo Romanelli, che promuoveva i prodotti della Val di Sieve e della Val d'Arno; tra questi figuravano anche i marroni del Mugello Igp, e io avevo portato un piatto che li vedeva protagonisti, molto apprezzato dal pubblico presente,  e che ripropongo qui per onorare  il nostro Calendario:

VELLUTATA DI MARRONI AL FINOCCHIETTO, ARINGHE E JULIENNE DI RAPE BIANCHE


Forse non tutti sanno che le aringhe fanno parte della grande famiglia del pesce azzurro. Sono di provenienza nordica, diffuse nelle acque gelide di Baltico, Atlantico settentrionale e Mare del nord ma come altri prodotti nordici, quali  baccalà o stoccafisso, sono approdate ai lidi mediterranei grazie ai fiorenti commerci marittimi, già nel 1600 e si sono radicate profondamente nella cucina popolare  e tradizionale italiana, rappresentando insieme a legumi, polenta e patate, veri salvagente contro le carestie.  Esempi come la poenta e renga nel veneto o la polenta e saraca lombarda, evocano  una povertà estrema, consumati nelle cascine, nel dopoguerra;  grazie al gusto intenso dell'aringa salata e affumicata, ne bastavano pochi tocchetti sulla polenta per insaporirla abbondantemente;  con un filetto di aringa si facevano miracoli o ancora peggio, come evocato da altri racconti leggendari o meno di anziani che hanno vissuto la povertà della guerra, si usava appendere l'aringa in cucina e a turno tutti i membri della famiglia ci strusciavano il pane così lo insaporivano e l'aringa durava per giorni.....ogni commento è superfluo, riflettiamo solo sul nostro benessere contemporaneo, stop! 

Il loro gusto affumicato, sapido e penetrante  convola a giuste nozze col gusto morbido avvolgente ma di carattere dei marroni che sottolineano inoltre la nota affumicata. Per dare freschezza all'insieme ho pensato di abbinare il finocchietto selvatico, classico connubio con castagne e marroni, sia le foglie che i semi e la rapa grattugiata che ha una sfumatura leggermente piccantina e conferisce croccantezza alla vellutata.

Ingredienti per 3-4 persone

500 g di marroni del Mugello Igp
1 cipolla dorata media
1-2 foglie di alloro
finocchietto selvatico, ciuffi verdi e semi 
brodo vegetale qb
olio evo, sale
1 aringa argentata affumicata, sfilettata e ammollata in acqua e latte per 24h
latte e acqua qb
1 piccola rapa bianca

Incidere i marroni, cuocerli  in acqua leggermente salata a cui è stato aggiunto un rametto di finocchio selvatico. Scolarli, spellarli e spezzettarli.
Rosolare la cipolla con la mezza foglia di alloro spezzata, aggiungere i marroni spezzettati, far insaporire e poi allungare con brodo vegetale, aggiungere alcuni ciuffi verdi di finocchietto selvatico,  lasciar andare a fuoco dolce per una decina di minuti, salare poco.
Eliminare la foglia di alloro, frullare, aggiungendo altro brodo fino a raggiungere la consistenza preferita.
Versare in ciotole mono porzione, posizionare alcuni tocchetti di aringa e una julienne di rapa cruda sopra alla vellutata. Irrorare con un filo d'olio a crudo, cospargere con semi di finocchio selvatico precedentemente tostati in padella antiaderente, qualche ciuffo di finocchietto fresco, annusare il profumo che si espande per casa e prepararsi all'assaggio.


Cit. http://www.agraria.org/prodottitipici/marrone-del-mugello.htm





TAPAS LA VUELTA A ESPANA DALL'ATLANTICO AL MEDITERRANEO

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Si fa presto a dire Tapas!  Tapasè un termine spagnolo generico che raggruppa diverse tipologie di piccole porzioni di cibo da consumare seduti o  in piedi, con fiumi di birra, vino o sangria, andando da un posto  all'altro, ridendo e scherzando e ballando e, soprattutto, tirando tardi,  in quel modo tutto spagnolo detto appunto "ir de tapeo". 
Per la precisione però, le  Tapas, propriamente dette,  sono piccole porzioni di un piatto intero (infatti nei menu si legge: raciòn o tapa, cioè piatto intero o piccolo) che si mangiano seduti, in un piattino, con le posate. Sia tradizionalmente che ai  fini della nostra gara non devono essere finger food concepiti come tali ma devono essere veri mini-piatti. Es.: un pezzetto di tortilla e’ una tapa, un mestolo di zuppa e’ una tapa, un biscotto salato non lo e’.
Nell'ampia categoria delle tapas compaiono i  Pinchos (da non confondere con i Pintxos baschi), che  sono invece finger food che si infilzano con uno stuzzicadenti- di ogni foggia e misura-  e si mangiano in piedi, al bancone del bar. Quindi, a differenza delle Tapas, i Pinchos nascono per essere mangiati in un solo boccone, con piena fantasia nella scelta degli ingredienti. L’unico limite e’ la consistenza, visto che lo stuzzicadenti e’ essenziale (altrimenti i baristi non sanno fare i conti, visto che al posto del blocchetto delle ordinazioni ci sono gli stuzzicadenti vuoti)
Infine ci sono i  Montadito,  fettine di pane o panini mignon su cui viene assemblato ogni ben di Dio, a seconda della fantasia di chi li prepara. Essenziale, quindi, è il pane o simili. (vedi articolo  Mtc60)  

Troppo facile eh? non sia mai detto! All'Mtc ci si deve complicare un po' la vita, altrimenti che gusto c'è? Bisogna creare una tapa, un pincho e un montadito che abbiano lo stesso comun denominatore, cioè un legame fra loro, ispirato a qualsiasi cosa ci passi per la mente, l'importante è che abbia senso e che venga ben collegato ed espresso poi nelle preparazioni. E qui scatta la febbre da Mtc, soprattutto se bisogna onorare la più pazza delle emmeticine, la mitica Mai, una che ti vince la sfida sugli gnocchi con le "gnoccozze", gnocchi neri a cui ha dato la caratteristica forma dei mitili tanto amati dal marito.
Come fai a competere in originalità e simpatia? Allora vai sul sicuro, su quello che conosci, sul filo dei ricordi, ricordi di viaggio, dei viaggi in Spagna, per la precisione, che ho girato abbastanza in lungo e in largo ma i luoghi che mi hanno affascinato maggiormente sono stati  la Galizia, il Cantabrico e i Paesi Baschi e l'Empordà in Catalunya, la terra di Mai. (Mi mancano tante zone comunque, per esempio l'Estremadura e i Pirenei che mi attraggono moltissimo)
Ecco allora, dopo gli gnocchi Giro d'Italia, per la sfida precedente,  la Vuelta a España! Un giro di Spagna cultural gastronomico dall'Atlantico al Mediterraneo, dove la principale fonte di ispirazione è il mare, declinato secondo le eccellenze culinarie dei luoghi coinvolti.  Per puro caso, inoltre, ho scoperto che la Vuelta 2016 ha toccato proprio le mie tappe!!



Protagoniste dunque alcune regioni iberiche estreme e di confine, connotate da carattere fiero e ribelle:  la Galizia col suo pulpo galego nella mia variante con  le patate ridotte in purea, aromatizzata al limone e il pimentón (paprica affumicata) di Murcia per le tapas - San Sebastian, Paesi Baschi con un montadito di pane al nero di seppia, ispirato al  bacalao al pil pil, specialità basca,  con cui ho farcito i  pimientos de piquillo di Lodosa, Navarra;  infine, per i pinchos, le acciughe de L'Escala, Catalunya, scoperte proprio grazie alle raccomandazioni di Mai, interpellata prima del viaggio, perché non ci sono solo le acciughe del Cantabrico! Co-protagonista: il  chorizo de Bellota (il mio d' Extremadura).


TAPAS INFINITO GALEGO
(sperando che Leopardi non mi fulmini)

Sempre caro mi fu quest'ermo scoglio
e questa gente, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma vendendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste onde, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il tapear m'è dolce in questo mare

In principio fu il polpo, il polpo alla galega (secondo l'idioma galiziano e non gallega che è castigliano, cioè spagnolo corrente), di cui sono ghiotta.
E' stato il primo pensiero associato alle tapas e da lì ho sviluppato tutto il resto.
La Galizia mi è rimasta nel cuore  per i suoi bellissimi paesaggi, le baie, le spiagge sconfinate  e le straordinarie scogliere, le architetture tipiche delle case cittadine con i balconi chiusi e riccamente intarsiati per proteggersi dai forti venti atlantici, per la sua  gastronomia ricchissima e un vino eccellente, considerato il miglior bianco di Spagna: l'albariño,  ma  anche per i  piacevoli ricordi  di situazioni rocambolesche che si sono succedute durante il viaggio, che potevano volgere al drammatico, risoltesi invece brillantemente, e pertanto maggiormente gustate.
Come quando, sbadatamente, giungemmo  a Sanxenxo, affollata località balneare dal nome quasi impronunciabile, esattamente nel weekend di ferragosto alle h 18, senza prenotazione alberghiera naturalmente, dopo una lunga e faticosa giornata di viaggio,  e quando ci presentammo  all'ufficio del turismo, ci scoppiarono  a ridere in faccia!! Ci dettero una lista di possibili alberghi disponibili e buona fortuna!
Dopo quasi due ore di giri a vuoto, rassegnati a dormire in macchina, notammo un'insegna verso le colline: Hotel Seixalvo, 2 stelle. Incominciammo a  ridere, Sei salvo a San sexo, e ci dirigemmo verso l'hotel, sperando che fosse la volta buona.
All'Hotel Seixalvo, un modesto ma dignitoso hotellino in collina con vista sulla baia,  eravamo veramente SALVI! Accolti da un signore simpaticissimo e ciarliero che ci mostra "l'instalacion" e ci ubriaca di informazioni, regole e orari. Inoltre dopo aver preso i documenti ci chiamava per nome di battesimo  "Patrissio" e Maria Cristina (io il Maria me lo ricordo solo quando devo firmare qualche documento ufficiale!).
La mattina a colazione era come essere in un collegio o in una caserma militare, nessuno fiatava, odore di disinfettante ovunque, servizio spartano con marmellate,  fette biscottate e  brioches contate ma ci siamo divertiti un sacco, ci siamo rimasti due notti, si conversava persino con la nonna che stazionava fissa con la sua sedia nel bel mezzo dell'ingresso dell'hotel, lei  parlava solo galego  e noi italiano, ci si intendeva che era una meraviglia! Un luogo mitico, l'abbiamo rammentato per anni!

Ingredienti per 8-10 tapas

1 polpo da 800 g
400 g di  patate gialle
1 limone non trattato
2 spicchi d'aglio
100 ml d'olio extra vergine d'oliva
acqua, sale qb
pimentón  (paprica affumicata) + paprica dolce qb
qualche rametto di rosmarino

Io cuocio il polpo nella pentola pressione con un dito d'acqua soltanto. 20 minuti dal fischio ed è pronto. Lo lascio raffreddare nella sua acqua, assaggio e di solito è sapido al punto giusto, non è necessario aggiungere sale. Non lo privo delle ventose, né lo spello completamente, lo si priverebbe di tanto gusto, tolgo solo un po' di pelle collosa alla congiunzione dei tentacoli con la testa.
Nel frattempo,  sbuccio e taglio a fettine l'aglio, lo metto nell'olio, porto a 50° C per pochi minuti e poi lo lascio raffreddare e insaporire per ventiquattr'ore, aggiungendo eventualmente un piccolo rametto di rosmarino.
Lavo ma non asciugo le patate, le bucherello e le cuocio senz'acqua, in microonde, potenza massima 6-8 min. a seconda delle dimensioni, girandole a metà cottura.
Le sbuccio calde, le passo nello schiacciapatate e poi le metto in un pentolino, diluisco con un po' d'acqua calda, condisco con olio, una generosa grattugiata di scorza di limone, regolo con poco sale.
Metto un paio di cucchiaiate di puré caldo in una ciotolina mono porzione, ci accomodo sopra alcune fettine di polpo ancora caldo, condisco con l'olio all'aglio, cospargo con un mix di paprica dolce e affumicata (o solo affumicata se si gradisce un gusto più aggressivo) e guarnisco con un ciuffetto di rosmarino fresco.



MONTADITO PIL PIL


Crepuscolo marino,
in mezzo
alla mia vita,
le onde come uve,
la solitudine del cielo,
mi colmi
e mi trabocchi,
tutto il mare,
tutto il cielo,
movimento
e spazio,
i battaglioni bianchi
della schiuma,
la terra color arancia ,
la cintura
incendiata
del sole in agonia,
tanti
doni e doni,
uccelli
che vanno verso i loro sogni,
e il mare, il mare,
aroma
sospeso,
coro di sale sonoro,
e nel frattempo,
noi,
gli uomini,
vicino all’acqua,
che lottiamo
e speriamo
vicino al mare,
speriamo.
Le onde dicono alla costa salda:
tutto sarà compiuto.

Pablo Neruda, Ode alla speranza

L'Ode alla speranza di Neruda è una poesia a cui sono molto legata, scoperta in un momento molto riflessivo e di grande sensibilità della mia vita.  Fonte universale di ispirazione poetica, fonte di vita e di morte, di lotte e speranze e di sogni affidati alle onde e all'infinito, diverso da quello leopardiano ma sempre evocativo di pensieri, sogni e ricordi. Questo mi hanno ispirato i Paesi Baschi affacciati sul mare, forse visitati a fine stagione, con cielo grigio e tempo piovoso, in un'atmosfera ovattata e struggente che mi ha lasciato una sorta di mestizia mista a malinconia, rincuorata però dalla speranza.
A San Sebastian, tempio della migliore gastronomia ispanica, ho assaggiato un' interpretazione già modernizzata del tradizionale bacalao al pil pil, che altro non è che del baccalà cotto in olio e tanto aglio, che diventava una salsa cremosa. Non ho ancora  scoperto però cosa significhi pil pil!
Ho pensato di scorporare gli ingredienti e di infilare il baccalà mantecato nei peperoncini del piquillo, come quelli che prepara Angelo Torcigliani nel suo ristorante Il Merlo, a Camaiore, di cui mi ero innamorata.  Il pane nero è venuto da sé per esigenze cromatiche e comunque, ha il mare dentro, perché non è carbone ma nero di seppia. Il pil pil l'ho reso con una maionese all'aglio, preparata con latte e olio extravergine d'oliva, senza uova.
E i piquillo? trovati e forniti con grande tempestività, su mia richiesta,  dal simpaticissimo Luca Benigni, titolare insieme alla sua famiglia della gastronomia L'angolo del Buongustaio,  del Mercato Centrale di Livorno, o delle Vettovaglie che, va detto, è poco conosciuto ma è il più grande d'Europa!

Si tratta di una varietà botanica unica ed autoctona della Navarra.  Piccoli, piccanti e di colore rosso intenso, lunghi 8-10 cm, da crudi, sono molto amari ma grazie alla pratica tradizionale di arrostirli su braci a legna, perdono la loro amarezza e mantengono la loro carnosità e  il loro aroma speciale, delicato, con retrogusto di arrostito e diventano un prodotto gastronomico eccellente e molto ricercato. Vengono confezionati in scatola o in contenitori di vetro, che dovranno presentare la corrispondente etichetta con il nome della Denominazione d'Origine Pimiento del Piquillo di Lodosa, così come il logotipo della Denominazione d'Origine, in vigore dal 1987.


Ingredienti per 8-10 montaditos

per il pane:
250 g di farina 00
80 ml d'acqua
8 g di nero di seppia
3 g di lievito disidratato
2 cucchiai d'olio extravergine d'oliva
un pizzico di sale
un pizzico di zucchero
guanti!

per i piquillo
1 confezione di peperoncini del piquillo conservati
200 g di baccalà già ammollato
1 patata piccola (80 g ca)
2 cucchiai di latte
olio extravergine d'oliva aromatizzato all'aglio (vedi sopra)

per la salsa pil pil
4-5 spicchi d'aglio
150  ml di latte
100 ml di acqua
80 ml di olio extravergine d'oliva delicato
un pizzico di sale

rametti di origano fresco per decorare

Come prima cosa ovviamente prepariamo il pane. Setacciamo la farina col lievito e lo zucchero in una ciotola capiente. Versiamo un po' d'acqua dove avremo sciolto il nero di seppia,  l'olio e iniziamo a mescolare. Quando prende consistenza iniziamo ad impastare (coi guanti!!), aggiungiamo anche un pizzico di sale, lavoriamo brevemente fino ad ottenere un impasto morbido ma non appiccicoso, formiamo due filoncini, mettiamoli su una teglia, foderata di carta da forno, a lievitare fino al raddoppio. cuociamo in forno a 170° C per 20-25 minuti.

Durante la lievitazione e la cottura del pane, cuociamo il baccalà nel microonde a potenza massima per 5-6 minuti. Spelliamolo e tritiamolo finemente, poniamo la polpa in una ciotola.
Cuociamo anche la patata nel microonde, vedi sopra, peliamo e passiamo nello schiacciapatate. Mantechiamo il baccalà tritato con la pure di patata, un po' di latte e olio, regoliamo di sale se necessario.
Mettiamo il composto in una sacca da pasticceria e farciamo con pazienza i piquillo, che sono delicatissimi e si rompono facilmente.
Prepariamo anche la salsa pil pil facendo cuocere per cinque  minuti circa gli spicchi d'aglio, sbucciati, spaccati in due e privati dell'anima, nel latte e 120 ml d'acqua. Scoliamoli e schiacciamoli con una forchetta. Mettiamo l'aglio nel bicchiere di un frullatore con i restanti 30 ml di latte, iniziamo a montare con il frullatore a immersione come per una normale maionese, versando a filo l'olio fino a che si crea un'emulsione spumosa e consistente. Regoliamo di sale.

Tagliamo a fette in senso obliquo il pane nero, tostiamolo un poco in forno, spalmiamo un po' di salsa sulla superficie, adagiamo un piquillo intero o tagliato a metà (per facilitare il morso!) e guarniamo con foglioline di origano fresco.


PINCHOS D'ACCIUGHE GALEOTTE

.....noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse:
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.

E s'è scomodato pure il divino padre della lingua italiana! Proprio in virtù della celebre frase, che l'Alighieri fa pronunciare a Francesca,  nel memorabile canto dell'Inferno dove compaiono, nel girone dei lussuriosi, gli sfortunati amanti, Galeotto, anche con la minuscola, è divenuto sinonimo di "sensale d'amore"  cioè persona, oggetto o situazione che ha favorito il nascere di una relazione amorosa o d'amicizia.
Le acciughe sono state galeotte per la mia amicizia con Mai! E' scoccato un vero colpo di fulmine quando finalmente ci siamo trovate de visu alla presentazione del primo libro dell'Mtchallenge a Genova, L'Ora del Paté, dove compariva una mia ricetta di paté d'acciughe. .
Tutto merito delle acciughe! Prima di Genova, ci conoscevamo solo virtualmente, grazie alla raccolta Un'acciuga al giorno. Un bel giorno Mai mi aveva sorpreso, mi aveva chiesto l'indirizzo di casa, doveva spedirmi una cosina che aveva visto e aveva pensato a me. Prima ancora di esserci conosciute di persona! Troppo carina!! Mi mandò due cacavelline deliziose in ceramica, a forma di lattina d'acciughe,  che ho immortalato in alcuni post a lei dedicati naturalmente.


Un anno fa, dovendo programmare un viaggetto nell'Empordà, Catalunya, mi sono rivolta a lei per avere consigli e suggerimenti cultural-gastronomici. Fra questi, mi furono raccomandate da Mai le acciughe de L'Escala, non così celebri come quelle del Cantabrico ma altrettanto eccellenti e più accessibili a livello costi, che ho sono sparite da tempo ma che ho ri-ordinato per l'occasione!!
L'Empordà è uno spettacolare lembo costiero situato a nord di Barcellona e che si snoda fino al confine con la Francia, in un tortuoso susseguirsi di scogliere impervie e paesini gioiello incastonati in strette baie, fra cui brilla il più prezioso, nella baia più ampia e profonda:  Cadaquès, un vero incanto,  di cui mio marito ed io ci siamo innamorati a prima vista, con buona pace di Dalì che era ed è la sua attrazione principale avendone fatto il buen retiro della sua vecchiaia.

Ingredienti per 24 pinchos

24 acciughe fresche
60 g di pane casalingo posato (peso al netto della crosta)
30 g di burro
10 fettine di chorizo de Belota al pimentón
4 acciughe sotto sale de l'Escala 
qualche foglia di alloro fresco
semolino e olio extravergine d'oliva qb

Puliamo, sfilettiamo le acciughe togliendo la testa ma mantenendo la coda (aiuterà la chiusura dei rotolini) e apriamole a libro, immergiamole in acqua e ghiaccio per 10 minuti per purificarle. Scoliamole su carta assorbente.
Dissaliamo e sfilettiamo le acciughe sotto sale, facciamole sciogliere  nel burro, a fiamma bassissima, amalgamiamo burro e acciughe col pane, lavorandolo con le mani in modo che si impregni perfettamente e uniformemente.
Formiamo delle palline grandi come una nocciola e poi schiacciamole in modo da ottenere dei cilindretti calibrandoli con la larghezza dei filetti di acciughe fresche. Poniamole a compattare in frigorifero per almeno un'ora.
Tagliamo il chorizo a striscioline di misura appena inferiori alla lunghezza e larghezza delle acciughe.
Chorizo de Bellota grazie a Luca, come i piquillo

Passiamo i filetti di acciughe nell'olio, paniamole con il semolino, stendiamo una fettina di chorizo su ogni filetto, mettiamo al centro il cilindretto di pane burro e acciughe, arrotoliamo e posizioniamo su una teglia, oliata e cosparsa di foglie d'alloro, i rotolini con la parte della giuntura dei filetti sul fondo, così non sarà necessario chiuderli con uno stecchino.  Cuociamo in forno a 180° C per 8-10 minuti, inebriamoci del profumo che si spande per la cucina e pregustiamo l'assaggio!!



PS: avendole esibite  prima ancora di preparare i pinchos, ho dovuto assolutamente utilizzare le forchettine a forma di lisca appena acquistate. Sono però in acciaio, un po' pesantine dunque, non proprio perfette per questi rotolini d'acciuga, troppo leggeri.
I pinchos non sarebbero male neanche infilzati nelle foglie d'alloro o rametti di rosmarino spogliati degli aghi, con un solo ciuffetto all'estremità:



CONCLUSIONE:

Alla fine, mi son fatta prendere la mano dai ricordi e dall'ispirazione del momento, e mi rendo conto che i comuni denominatori di queste tapas, montaditos e pinchos sono multipli: in primis la vuelta à Espana dall'Atlantico al Mediterraneo con i suoi riferimenti gastronomici, e il mare fondamentalmente, ma anche i sentimenti poetici che gli infiniti orizzonti di questo ispira a tutti noi .....

........uomini,
vicino all’acqua,
che lottiamo
e speriamo
vicino al mare,
speriamo.
Le onde dicono alla costa salda:
tutto sarà compiuto.
















CASTAGNACCIO SALATO ALLE ACCIUGHE E PISTACCHI

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Un castagnaccio decisamente insolito questo che dedico alla giornata nazionale del Castagnaccio secondo il Calendario del Cibo Italiano Aifb, di cui è splendida interprete Alice Del Re, del blog Pane Libri e Nuvole, nell'ambito della settimana della Castagna, a cura di Silvia Leoncini del blog La Masca in cucina

Rimando all'articolo di Silvia sul sito Aifb per scoprire tutto sulle castagne.
Mentre l'articolo di  Alice ci spiega ogni dettaglio storico, culturale e tecnico sul castagnaccio, una "torta" a base di farina di castagne,  che accomuna molte regioni italiane e che presenta varianti sia nella preparazione che nella declinazione del nome, vedi pattona, migliaccio e torta di neccio, per citarne alcune, a seconda dei luoghi d'origine ovvero le zone appenniniche o pedemontane di Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Calabria.

Per questa variante salata, ho preso spunto  da un esperimento affrontato qualche anno fa, riuscito ed apprezzato, seguendo una ricetta contenuta in un bellissimo libro con cui avevamo inaugurato l'attività Starbooks, di cui avevamo un unico esemplare che ci dividevamo: La farina di castagne della Val Bisenzio, Claudio Martini Editore.
Libro che poi  in seguito ho ricevuto come premio, graditissimo,  insieme ad un secondo libro, dello stesso editore, sui  Biscotti di Prato, per il contest dedicato a questi ultimi.

Il primo esperimento : QUADRUCCI DI CASTAGNATO SALATO prevedeva cipolle, salsiccia, pistacchi al posto dei pinoli, tabasco e cannella. Un connubio di sapori gustosissimi per un risultato decisamente insolito.
Per quest'occasione, ho  pensato di sostituire la salsiccia con le acciughe salate per la nota sapida, ho mantenuto cipolle e pistacchi, eliminato la cannella che non lega con le acciughe (con la salsiccia sì perché ha una parte grassa e dolce importante che alle acciughe manca), per contro ho aggiunto le uvette ma  ho omesso il tabasco semplicemente perché non l'avevo in dispensa ma non ne ho sentito la mancanza dopo l'assaggio! Quindi, secondo esperimento di castagnaccio salato riuscito direi!


Ingredienti per 18 pezzi 4,5x4 cm- teglia cm14x24

80 g di farina di castagne dell'Amiata
120 ml acqua
1/2 uovo
100 g di cipolle rosse
20 g di pistacchi spellati, non salati
20 g di uvetta sultanina
2-3 acciughe intere sotto sale
1 foglia di alloro
1 rametto di rosmarino
olio extravergine d'oliva qb
sale

Affettare le cipolle finemente, metterle in una casseruola con due cucchiai d'olio  e uno d'acqua e l'alloro,  farle stufare a fuoco medio. Farle asciugare bene, regolare con un pizzico di sale e lasciarle raffreddare. Togliere la foglia di alloro.
Nel frattempo sfilettare e dissalare, sciacquando ripetutamente sotto acqua corrente, le acciughe e spezzettarle.  Spezzettare i pistacchi.
Amalgamare in una ciotola la farina di castagne, precedentemente setacciata,  con l'acqua, l'uovo, un cucchiaio d'olio  e  un pizzico di sale. Versare l'impasto in una teglia bassa, antiaderente (di ca. cam 25x18) abbondantemente oleata.
Distribuire sopra all'impasto le cipolle, i pistacchi, i tocchetti d'acciughe,  a cuocere in forno a 180 ° C 20-25 minuti. 
Lasciar intiepidire   il castagnaccio prima di sformarlo, cospargere con ciuffi di rosmarino fresco, tagliarlo a quadrotti 4x4 cm e servire tiepido.



Sembra un quadro astratto vero? Tra un cretto di Burri e un informale di De Kooning!


PICI DI GRANO SARACENO CON SARDE, CAVOLFIORE E NOCI

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Eubiochef è un contest che ha lo scopo di sensibilizzare le persone ad una cucina salutare. Fare attenzione a cosa e come si mangia è la prima prevenzione.  È importante però non solo mangiare in modo sano, ma anche gratificare gli occhi e il palato, per questo ANT e Vetrina Toscana invitano chef, food blogger e semplici appassionati a mandare le loro ricette “eubiotiche” (dal greco eu-biotikós: che assicura il ben vivere).

In un periodo in cui l’attenzione al cibo è di gran moda, l’evento chiama a raccolta tutte le persone appassionate di cucina ponendo l’accento sul  tema della prevenzione primaria per promuovere un corretto stile di vita, ingrediente fondamentale per il benessere psicofisico.

Quest’anno la salute sposa la Toscana, oltre alla qualità e stagionalità delle materie prime, le corrette tecniche di preparazione e cottura degli alimenti, le proprietà benefiche degli ingredienti utilizzati, le ricette dovranno essere legate al territorio toscano, per storia personale, tradizione e materie prime.

Il piatto che ho preparato per il contest:

PICI DI GRANO SARACENO CON SARDE, CAVOLFIORI E NOCI


Ho pensato di onorare la tradizione della Toscana, la mia regione d'adozione, con i pici, preparati con il  grano saraceno che richiama invece le mie origini lombarde, in chiaro riferimento ai pizzoccheri valtellinesi   dove, nel condimento, compare la verza che io ho sostituito con il cavolfiore perché col cavolfiore avrei potuto fare una sorta di crumble, sbriciolando le cimette, che ricorda la "muddica" della sicilianissima pasta con le sarde, che è l’altra fonte di ispirazione: un viaggio da nord a sud, passando per la Toscana!


Come tutta la famiglia dei cavoli, il cavolfioreè perfetto per affrontare l'inverno e contrastare i mali di stagione, grazie al suo alto contenuto di vitamine e sali minerali che rafforzano le difese immunitarie, specialmente se consumato crudo o cotto molto al dente. Il grano saraceno integrale, impropriamente chiamato "grano" ma non è una graminacea anche se trattata come tale, presenta tutte le caratteristiche benefiche degli alimenti ad alto contenuto di fibre e dona una ruvidezza ai pici, ideale per il condimento che avevo concepito, cremoso e rustico con noci e sarde.
Le sarde appartengono alla famiglia del pesce azzurro che possiede eccellenti proprietà nutrizionali ed è considerato fra i più preziosi alimenti salutari. Ricco dei ben noti acidi grassi  omega3, che contrastano l'ipercolesterolemia sanguigna e prevengono malattie cardiovascolari, fornisce inoltre buone proteine e sali minerali come fosforo e calcio e, le sarde in particolare,   vitamine D e B12. Inoltre,  le sarde come le acciughe, essendo di taglia piccola, non presentano il rischio di assorbimento di mercurio come invece i pesci più grossi.
Le noci  rappresentano utilissime fonti di proteine ad alto valore biologico, Omega3 e vitamine del gruppo B nonché minerali quali  potassio, ferro e calcio, contrastano il rischio neurovegetativo; fanno bene al cervello, in altre parole, e la forma dei gherigli ricorda proprio il cervello umano. Le meraviglie della natura!


Le sarde vanno a braccetto con il finocchietto selvatico come da migliore tradizione siciliana. Ho usato semi e foglie. Le proprietà che spiccano maggiormente sono quella stimolante e digestiva ma il finocchietto ha anche proprietà antispasmodiche e carminative (favorisce cioè l’espulsione dei gas intestinali). Inoltre, di recente è stata scoperta anche la sua proprietà antisettica.
In cucina è utilizzato per il suo aroma inconfondibile.
Per quanto riguarda i condimenti, da sempre l’aglio è uno dei vegetali più utilizzati nelle pratiche popolari per il trattamento di un gran numero di patologie, tanto da elevarlo quasi al livello di trattamento taumaturgico per malattie cardiovascolari, ipertensione, certe forme di cancro, parassitosi, infezioni e vari malanni assortiti. Senza scendere nel dettaglio, le sue proprietà curative sono  in parte confermate dalla ricerca scientifica.
Il peperoncinoè una vera bacca della salute le cui proprietà sono note sin dai tempi antichi. Il peperoncino, le cui virtù sono dovute principalmente alla capsaicina,  ha un forte potere antiossidante, e questo gli è valso la fama di antitumorale. Inoltre, si è dimostrato utile nella cura di malattie da raffreddamento come raffreddore, sinusite e bronchite e nel favorire la digestione. Viene inoltre utilizzato come antidolorifico ad uso topico, in creme, gel o oli.
Ultimo ma non d'importanza, le proprietà nutrizionali e le caratteristiche benefiche dell'olio extravergine d'oliva per il nostro organismo sono ben note,  soprattutto grazie al suo alto contenuto di acido oleico, polifenoli e betacarotene, per citare i più importanti fattori che ne fanno un grande prodotto antiossidante, anticolesterolo e di prevenzione delle malattie cardiovascolari.






Ingredienti per 4 persone

120 g di farina 00
120 g di farina di grano saraceno integrale
120 g di semola di grano duro
4 cucchiai d'olio extravergine d'oliva Igp Toscano
200-300  ml d'acqua (quantità variabile a seconda dell'assorbimento delle farine utilizzate)

300 g di sarde fresche (peso lordo) del Mar Tirreno
200 g di cavolfiori
1/2 spicchio d'aglio
30 g di gherigli di noci
2 cucchiai di pecorino dop Toscano grattugiato
1 cucchiaino di colatura di alici di Cetara
olio extravergine d'oliva Igp Toscano
brodo vegetale qb
qualche ciuffo e semi di finocchietto selvatico
peperoncino in polvere



Setacciare le farine insieme, formare una fontana su una spianatoia, aggiungere nel centro l'olio, un po' d'acqua e iniziare ad amalgamare con una forchetta, partendo dal centro. Man mano che l'impasto prende consistenze, aggiungere acqua e continuare a lavorare con le mani. Impastare per circa 10 minuti fino a che l'impasto risulterà compatto, liscio ed elastico. Formare una palla, coprirla con pellicola e lasciare riposare, a temperatura ambiente, per almeno mezz'ora.
Riprendere la pasta, stenderla un poco, tagliare delle striscioline di ca 1 cm di spessore e iniziare a tirare i pici sulla spianatoia facendoli roteare e allungando con le dita fino alla dimensione di un bucatino. Cospargerli con semola e tenere da parte.


Togliere alcune cimette ai cavolfiori e ridurle in briciole grossolane. Cuocere al vapore il restante cavolfiore e poi frullarlo a crema. 
Tritare finemente le noci, lasciandone qualcuna a pezzetti.
Pulire, squamare e sfilettare le sarde, tagliarne alcune a tocchetti, lasciarne alcune intere, con la codina, come decorazione finale.
Stufare a fuoco dolce l'aglio spremuto nello spremi-aglio, con un poco d'olio e d'acqua, rilascerà tutto il suo aroma senza soffritti violenti che lo rendono acuto e indigesto. Aggiungere qualche cucchiaiata di crema di cavolfiore, le noci tritate e a pezzetti, i semi di finocchio e diluire con un po' di brodo vegetale e far insaporire per qualche minuto. Unire infine le sarde a tocchetti, regolare di sale. Spegnere subito il fuoco.
Tostare brevemente in una padellina antiaderente le briciole di cavolfiore irrorate con un filino d'olio e la colatura di alici. Devono dorare appena e rimanere croccanti.
Cuocere i pici 4-5 minuti in abbondante acqua salata. Scolarli, passarli nel sughetto di sarde, cavolfiori e noci allungando ancora con brodo, unire anche il pecorino grattugiato, mantecare bene per qualche minuto, in modo che le sarde finiscano di cuocere, senza asciugare troppo la crema che si forma.
Contemporaneamente nella padellina della "muddica" di cavolfiore, tostare per 20-30 secondi i filetti di sarde interi dalla parte della polpa.

Posizionare un generoso mucchietto di pici con la loro crema e i tocchetti di sarde nel piatto, cospargere con ciuffetti di finocchietto fresco, la "muddica" di cavolfiore e colatura e infine guarnire con altri tocchetti di sarde e un filetto intero. Finire con un giro d'olio a crudo e una spolverata di peperoncino.






UNA PALAMITA A POIS PER IL MASTER MTC IL LATO B12 (ALTA CUCINA E SALUTE)

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Per chi, al di fuori dell'Mtchallenge, si stesse chiedendo cosa sia un  Master Mtc, si tratta di  una nuova attività, una delle tante stimolanti, divertenti e istruttive  ideone della nostra infaticabile Alessandra (un'ex ragazza con delle idee....e che idee!!), collegate alla sfida più pazza del web in materia culinaria.
Un utilissimo approfondimento di un tema specifico, un lavoro di gruppo, e sottolineo di gruppo,  sostenuto e affiancato da tutors professionisti, esperti del settore ad esso collegato.

Il Master d'esordio, denominato BAKE OUT, nel puro stile emmeticino,  era legato alla manifestazione Sweety di Milano ed aveva come tema la naked cake. Sono uscite meraviglie che hanno sorpreso i giudici milanesi e tutti i presenti all'evento e che noi da casa abbiamo seguito virtualmente in un crescendo di emozione e di orgoglio di appartenere ad una community così speciale!

Per il secondo appuntamento, è mancato l'aggancio istituzionale, per cui era stato ideato il master, ma non per nostra indolenza o determinazione; infatti non ci siamo arresi, l'argomento era troppo importante: CIBO E SALUTE!
Cito il verbo vanpeltiano : E’ da quando e’ nata la Medicina che l’alimentazione ha avuto un ruolo primario nell’influenzare il benessere degli individui, con tutte le conseguenze del caso. Nei secoli, la sorte dei cibi e’ stata spesso legata anche alle valutazioni dei medici, con alterne vicende, bufale gigantesche comprese: la mia generazione e’ figlia di Braccio di Ferro che diventava fortissimo mangiando gli spinaci in lattina (una prece) o del pompelmo che fa dimagrire, tanto per citare gli esempi piu’ noti. Ma basta fare un giro sui social, oggi, per venir travolti da informazioni che dicono tutto e il contrario di tutto.

E allora noi dell'Mtc, che non si frigge con l'acqua siamo scrupolosi e seri (della serie...sotto il cazzeggio c'è di più!!),  abbiamo il dovere di approfondire e fare chiarezza e sfruttare tutti i talenti che abbiamo a disposizione. L'argomento specifico scelto è stata la vitamina B-12 da cui il titolo scherzoso del Master: IL LATO B-12 (ALTA CUCINA E SALUTE).
Nel gruppo eravamo in 17 + i 3 tutors e Alessandra, a scambiarci informazioni, idee, consigli, disegnini (sì abbiamo fatto anche gli schizzi della composizione dei piatti), battute, crisi isteriche, paranoie, incubi notturni etc...e qualche volta si andava oltre il gruppo, si passava alla chat privata, facendo nuove conoscenze o consolidandone altre. Una bellissima esperienza, utile e divertente!


Immagine  Web

A spiegarci tutto ciò che si deve sapere sulla B12 sono stati interpellati: il dottor Michael Meyers, oncologo di fama internazionale e ladott.ssa Arianna Mazzetta, biologa e nutrizionista, a cui vorrei esprimere la mia gratitudine per la disponibilità offerta, pazienza e spirito dimostrati e stima per la grande competenza!
Un sunto delle dispense che ci hanno appioppato gentilmente fornito:

La Vitamina B12è un composto organico idrosolubile prodotto da microorganismi e necessario, in piccole quantità, agli animali e all'uomo.
Non è presente  dunque nei vegetali. Un mito molto comune tra i vegani è che si possa ottenere la vitamina B12 da fonti vegetali come alcune alghe, spirulina e lieviti. In realtà questi alimenti contengono una sorta di pseudo-vitamine B12, chiamate cobamide, che bloccano l'assorbimento della vera vitamina B12 e ne aumentano il bisogno.
Le fonti alimentari consuete di B12sono la carne e i suoi derivati, il pesce, i crostacei, il pollame, le uova e in misura minore anche latte e latticini.
Tra gli alimenti più ricchi  troviamo il fegato, il rene, il cuore di agnello e di manzo, i bivalvi come le cozze e le ostriche (sifonano grandi quantità di microrganismi marini che sintetizzano la B12). Quantità moderatamente grandi  si trovano nel latte magro in polvere, in granchi, scorfani, sardine, salmone e nel tuorlo d’uovo. Quantità moderate si trovano nella carne (nel muscolo), aragosta, pesce spada, tonno, ma la ritroviamo anche nei formaggi fermentati come il Camembert e nella ricotta.

Il fabbisogno quotidiano di vitamina B12 è veramente modesto, ma comunque essenziale. La dose giornaliera richiesta per l'adulto è di circa 2 - 2,5 µg. Il fabbisogno aumenta leggermente durante la gravidanza e l'allattamento.
Funzioni principali della vitamina B12:  innanzitutto  partecipare al processo di formazione dei globuli rossinel midollo osseo attraverso la regolazione della sintesi dell’emoglobina e la sintesi del DNA. Altra importante funzione è quella di agire sul metabolismo dell’omocisteina, un composto che  va mantenuta nell’organismo entro certi livelli poiché in eccesso può provocare problemi a livello dei vasi rendendo facile la deposizione del colesterolo nelle arterie e quindi aumentare il rischio cardiovascolare. La vitamina B12 risulta anche necessaria al metabolismo del sistema nervoso centrale in particolare alla costituzione dei manicotti di di mielina4 che avvolgono i nervi. Ha un  effetto rigenerante delle cellule che formano il cuoio capelluto, e soprattutto su quelle cellule che formano il bulbo pilifero, per cui è importante per mantenere i capelli forti e sani. Agisce anche sulle cellule che formano le unghie, promuovendone la rigenerazione, tanto che una carenza può provocare unghie fragili, secche e con linee biancastre sulla superficie che evidenziano una carenza vitaminica. Un altro effetto è sul mantenimento del benessere delle cellule cutanee, non è raro che alla mancanza di vitamina B12 si accompagni all’insorgenza di dermatiti.   La vitamina B12 ha un effetto di potenziamento sul sistema immunitario, in particolare sui globuli bianchi natural killer, cellule del sistema immunitario molto efficaci nella distruzione di batteri, virus e cellule tumorali. Infine, ha un effetto sulle patologie a carico delle ossa, specialmente sull’artrite perché spesso l’artrite si accompagna ad anemia e questa vitamina, insieme a ferro e acido folico, può aiutare a contrastarne i sintomi. 

La carenza di vitamina B12può provocare una forma tipica di anemia, definita anemia megaloblastica, ma soprattutto alterazioni a carico del Sistema Nervoso Centrale, con depressione, disturbi delle memoria fino alla demenza, sofferenza del midollo spinale fino alla tetraparesi, e Periferico (neuropatie). Alcuni studi suggeriscono anche che la carenza di vitamina B12 e folato possa essere correlata con lo sviluppo dell’Alzheimer. 

La sua disponibilità dietetica: è chiaramente correlata al tipo di alimentazione e dalla capacità di assorbimento dell'organismo. Poiché la vitamina B12 non si trova in quantità affidabili nei cibi vegetali, a meno che non siano addizionati, essi non sono in grado di apportare all'organismo le quantità necessarie di questo nutriente quando la dieta si basi prevalentemente o esclusivamente su questi alimenti: pertanto tutti i vegani e molti latto-ovo-vegetariani possono sviluppare la carenza.  Alcuni farmaci, come gli antiacidi, possono causare carenza.
Nel momento in cui si instaurino una o più di queste condizioni, c'è tuttavia sufficiente tempo per mettere in atto le strategie in grado di prevenirla, intervenendo prima che la carenza si sviluppi. Il fegato può infatti accumulare nel corso della vita un quantitativo rilevante rispetto al fabbisognoquotidiano di vitamina B12 (circa 2-3 mg).  Le persone che seguono diete vegetariane con abolizione completa di carne, pesce, uova e latte devono assumere integratori contenenti vitamina B12 o alimenti addizionati arricchiti,  per evitare di sviluppare una ipovitaminosi. I bambini allattati da donne che seguono una dieta vegetariana stretta (es. dieta vegana) sono particolarmente a rischio di andare incontro a carenza di vitamina B12 entro pochi mesi dalla nascita con conseguenze severe sullo sviluppo fisico e neurologico.


NB: La B12 è molto solubile in acqua, resiste a ph 4-5 e resiste al calore fino a 120°C.

Ed eccoci arrivati al punto! Ai fini del Master, ci è stato richiesto di produrre un piatto salutare e attraente, con ingredienti che contenessero vitamina B12 in quantità sufficiente e soprattutto che venissero elaborati e cotti in modo tale da non disperderla o neutralizzarla completamente.

Inoltre, il lato estetico  è stato supervisionato da un altro tutor chiamato in causa per il Master: lo chef Sandro Sità,dell'Hotel Tarabella di Forte dei Marmi.  

E a giudicare le nostre proposte sarà Marco Visciola, chef del ristorante Marin di Eataly Genova! Come dicevo nella premessa, non si frigge mica con l'acqua all'Mtc!

Questa è la mia proposta:


UNA PALAMITA A POIS O....T'ATTAKI
ALLA PALAMITA!!
Tataki di palamita in marinata mediterranea, ricotta agrumata, maionese all'aglio nero, salsa alla barbabietola e peperoncino, salsa al peperone giallo e colatura di alici, valeriana e germogli di rapanelli
Ho optato per una semi-cottura di un pesce azzurro del nostro mare, la palamita, valido sostituto dell'iper sfruttato tonno, con una scottatura veloce, stile tataki giapponese, in cui il cuore rimane crudo come nella  cottura au bleu per il filetto di manzo,  pertanto, trattandosi di pesce, è necessario l' abbattimento onde scongiurare contaminazioni da anisakis. E la B12 è salva, come confermato dagli esperti che ci hanno seguito e consigliato!

La marinatura della palamita si ispira alle marinature orientali ma è stata mediterraneizzata con la colatura di alici al posto della salsa di soja ed altre erbe e odori tipici di casa nostra. Ho abbinato una crema di ricotta agrumata che si sposa bene col crudo di pesce, alcune salse  a base di verdure dal dolce al salto, aromatico e piccante, nelle quali ci si può divertire ad intingere i bocconcini di palamita e si trova freschezza e croccantezza con ciuffetti di valeriana e germogli di rapanelli, leggermente pungenti.




Ingredienti per 4 persone - piatto principale

Tataki
2  filetti da 200 g  di palamita,  privati della pelle* e spinati,  abbattuti  a – 18° C per 96 h
3 cucchiai di olio extravergine d'oliva varietà frantoio, fruttato intenso, non troppo amaro, piccante medio
3 cucchiai di colatura di alici di Cetara
2 cucchiai di miele di acacia o millefiori
1 limone non trattato
1 spicchio d’aglio
1 ciuffo di finocchietto selvatico
1 cucchiaio di semi di finocchietto selvatico
1 foglia di alloro 
* io li congelo con la pelle e tolgo la pelle quando  iniziano a scongelare ma sono sempre turgidi, così l'operazione è più facile


Quenelles di ricotta
250 g di ricotta vaccina
1 limone non trattato
1 cucchiaio di foglioline di timo al limone 


Maionese all’aglio nero
4-5 spicchi d’aglio nero
30 ml di latte parzialmente scremato
70-80 ml di olio extravergine d’oliva dal gusto delicato (nocellara, taggiasca)
sale qb 


Salsa di barbabietola e peperoncino
1 piccola barbabietola rossa (50-60 g) 
60-70 g di patata a pasta bianca
50-70 ml di latte parzialmente scremato
peperoncino jalapeno in polvere

Salsa di peperone giallo e colatura di alici
200 g di peperone giallo
1-2 cucchiaini di colatura di alici
2 cucchiai d’olio extravergine d’oliva varietà Nocellara  (foglia e buccia di pomodoro, note acide)la punta di un cucchiaino di xantana in polvere

Per completare: insalata valeriana, germogli di rapanelli, sale marino integrale e pepe nero in grani, olio extravergine d'oliva varietà frantoio c.s.

Esecuzione:

Togliete dal freezer o dall’abbattitore i filetti di palamita e poneteli a decongelare in frigorifero.
Una volta decongelati, tamponateli con carta assorbente, disponeteli in una pirofila,  irrorateli con un’emulsione di olio, miele e colatura, aggiungete l’aglio tagliato a fettine, le scorze di mezzo limone, i ciuffi e i semi di finocchietto e la foglia di alloro spezzettata.  Lasciate marinare in frigorifero per 5-6 h coperto da pellicola.

Preparate le salse. Sbucciate l’aglio nero, schiacciatelo con la forchetta, mettetelo nel bicchiere di un frullatore, aggiungete il latte appena intiepidito  e iniziate a montare con il frullatore ad immersione come una normale maionese, versando a filo l'olio fino a che si formerà un'emulsione spumosa e consistente.

Cuocete in forno a 180° C la barbabietola con la buccia fino a quando sarà ben appassita, quasi bruciacchiata (il tempo varia a seconda delle dimensioni, per una barbabietola piccola ci vorranno almeno 30-35 minuti). Il gusto, rispetto a quelle lessate, è più concentrato e dolce con note quasi caramellate.

Lavate la patata, senza asciugarla, bucherellatela, cuocetela  nel microonde, a potenza massima per 4-5 minuti, girandola a metà cottura. Sbucciatela e schiacciatela nel passapatate. 

Sbucciate la barbabietola, tagliatela a tocchetti e frullatela. 

Unite il latte alla purea di patata, mescolando bene in modo da creare una salsa cremosa ma fluida, coloratela con un cucchiaino di polpa di barbabietola o quanto basta  ad ottenere un bel rosa violaceo acceso. Insaporite con un pizzico di sale e un tocco di peperoncino, dosandolo in modo che risulti una piccantezza delicata. Passate la salsa attraverso un colino fine.

Lavate e mondate il peperone, tagliatelo a tocchetti e cuocetelo al vapore. Frullatelo con la puntina di xantana (che addensa e lucida la salsa ed evita le antiestetiche colature nel piatto), conditelo con l'olio e la colatura d'alici. Passate la salsa attraverso un colino fine.


Mettete le salse in singoli biberon da cucina o sacchetti da pasticceria, conservatele in frigorifero, se preparate con largo anticipo ma utilizzatele a temperatura ambiente.

Passate la ricotta al setaccio, mescolatela  con un poco di succo e la scorza del limone grattugiata finemente e le foglioline di timo al limone.

Mondate e lavate la valeriana e  i germogli di  rapanelli, condite con olio, sale marino integrale e pepe nero macinati al momento.

Togliete i filetti di palamita dalla marinata senza scolarli troppo, eliminate tutti gli odori, tagliateli a tocchetti da 25 g circa ciascuno,  il più possibile regolari. Dovrete ottenere 6 pezzi per filetto = 12 in totale, 3  pezzi a porzione. La quantità indicata considera gli scarti perché lo spessore dei filetti non è uniforme (con gli scarti si può sempre fare una tartarina o un ragù per condire una pasta).

Scaldate su fuoco vivo una padella antiaderente, rosolatevi  i tocchetti di palamita  15-20” per lato o il tempo necessario alla formazione di un bordo bianco lungo il lato in cottura e una crosticina dorata esterna,  mentre l’interno  deve rimanere rosa, praticamente crudo. Il riferimento è il punto di cottura "au bleu" per la carne, cioè 40° C al cuore, per la palamita basteranno 30-35°C.


Prima di cuocere la palamita,  studiate la composizione  a forma semicircolare e iniziate a predisporre nel piatto tutti gli ingredienti, tranne la palamita che andrà per ultima:  segnate con dei puntini di una delle salse la posizione dei tre cubetti di palamita, create altrettante quenelles di ricotta con un cucchiaino da tè, posizionatele fra gli spazi destinati ai cubetti di palamita, guarnite con punti di varie dimensioni delle tre salse, alternando i diversi colori, completate con le foglie/germogli e rapanelli. Cuocete i tocchetti di palamita, come descritto,  e posizionateli negli spazi vuoti accanto alle quenelles di ricotta.
E se anche l'effetto visivo non è perfetto, gustate e divertitevi!

Un ringraziamento sincero a tutti i miei compagni di avventura per lo splendido spirito cameratesco che si è instaurato durante i lavori, è stato come tornare ai tempi della scuola, quando si facevano i compiti a casa insieme alle amiche o si studiava per il compito in classe, e quando arrivava il giorno fatidico e si superava la prova, era una vittoria collettiva!!


















vade DIETRO....LA LASAGNA! IL NUOVO LIBRO DELL'MTCHALLENGE

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Cosa c'è dietro la lasagna? C'è una community straordinaria, orchestrata da una direttrice vulcanica  Alessandra Gennaro, che sforna, non solo lasagne ma idee sempre strabilianti e non finisce mai di stupirci e di renderci orgogliosi di fare parte di questo grande gruppo  di studio, condivisione e scambio che avviene principalmente sul web ma che poi spesso, si materializza in incontri reali con workshop e master, lezioni, degustazioni, visite e allegre tavolate. Tutto naturalmente ruota intorno alla comune grande passione per la cucina e la cultura del cibo.

Dietro la lasagnaè il quinto libro scaturito dall'Mtchallenge, l'ormai celebre sfida culinaria che ci impegna ogni mese con un tema diverso, stimolando la nostra creatività e scatenando la nostra fantasia in uno stile ormai connotato come "emmeticino".

Il libro esce oggi in tutte le librerie, edito da Gribaudo, gruppo Feltrinelli e raccoglie le più belle ricette di lasagne scaturite dalla sfida Mtc n. 42 LA LASAGNA
Illustrazioni e styling Mai Esteve.
Anche questo libro sostiene  Piazza del Mestieri
In vendita in tutte le librerie e on line a € 14,90
Amazon

(tra parentesi, ci sono anch'io e ne sono molto orgogliosa! grazie Mtc)

Un piccolo assaggio?  Solo per chi ancora non ci conosce, perché chi ci segue, lo acquisterà a scatola chiusa perché Mtc è un marchio di garanzia!!





Pronti? Via!!!!


RICORDI DI UN MASTER TARTUFO BIANCO A SAN MINIATO E L'ESITO IN CUCINA

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Per la Giornata Nazionale di sua maestà Tuber Magnatum Pico ovvero il Tartufo Bianco, secondo il calendario del cibo italiano Aifb, ambasciatrice Chiara Lazzarin del blog La Pulce tra i fornelli, rispolvero volentieri un piacevole amarcord, un Master sul tartufo bianco di San Miniato a cui ho partecipato qualche anno.


San Miniato non ha certo bisogno di presentazioni, oltre ad essere un'affascinante cittadina con palazzi storici splendidi, è nota nel modo per essere una fra le più importanti zone  di provenienza del TUBER MAGNATUM PICO ovvero il pregiato tartufo bianco!
Ogni anno, nel mese di novembre, si tiene a San Miniato,  la celebre  fiera internazione del tartufo bianco  che richiama da ogni parte d'Italia e dall'estero decine di migliaia di appassionati del preziosissimo e costosissimo fungo.
Nel 2013 partecipai ad un Master sul Tartufo Bianco, una delle varie  attività che si susseguono  durante e successivamente al  periodo della fiera che solitamente si protrae per tre weekend consecutivi. 
Il Master,  ospitato nella Fondazione del Conservatorio di Santa Chiara, a San Miniato, era riservato agli istituti alberghieri toscani ma anche ad operatori turistici e professionisti del settore enogastronomico. 
Fu  una giornata fantastica, interessantissima ed intensa di didattica e divertimento.
Innanzitutto la conferenza dell'ineccepibile prof. Amedeo Alpi dell'Università di Agraria di Pisa, oratore dotto e brillante, poi  l'intervento del suo bravissimo collaboratore e ricercatore Dr. Federico  Vita  e del presidente dell'Associazione tartufai delle colline sanminiatesi, l'esperto Salvatore  Cucchiara con la supervisione dell'assessore al Commercio, Turismo ed Agricoltura di San Miniato Giacomo Gozzini.
Ho imparato innanzitutto che il tartufo appartiene al regno dei FUNGHI, ipogei per l'esattezza, non è un tubero come si potrebbe erroneamente pensare, ma è del genere TUBER (questo forse crea confusione) e senza entrare in dettagli troppo tecnici e terminologie scientifiche difficilissime, molto sinteticamente, altre nozioni acquisite riguardano le piante dalle cui radici i tartufi traggono nutrimento come alcune varietà di QUERCIA e  i PIOPPI, l'importanza del terreno e delle condizioni metereologiche, gli esperimenti di tartuficoltura e gli studi sulle proteine, sui composti volatili e sul metabolismo del calcio, non ultimo un accenno alle frodi esistenti purtroppo!!
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E dopo l'impegnativa e ben condotta premessa, Cucchiara ci ha fatto vedere, toccare e annusare una bella pepita e ci ha spiegato alcuni trucchi per riconoscere un tartufo di buona qualità anche se difficilmente un venditore ti lascia maneggiare, ispezionare e sfregare il tartufo per assaporare tutto l'aroma e saggiarne la bontà né tanto meno sezionarlo per evidenziare la fittezza della venatura e il colore della polpa interna, segni di buona maturazione!

L'amica Daniela Mugnai, Vetrina Toscana,

Ma il bello doveva ancora arrivare.....dopo tre ore di teoria, la pratica....tutti a caccia di tartufo nei boschi intorno a San Miniato, con il figlio del presidente Cucchiara, Massimo e il suo vivacissimo cane Pepe, nomen omen!!






Pepe ne ha scovati tre in meno di un'ora!! Noi eravamo eccitatissimi dei risultati e divertiti dalle capriole e dai salti di quel cane felice di aver fatto il suo dovere e di aver accontentato il suo padrone col quale ovviamente c'è un rapporto incredibile e Massimo ci tiene molto a sfatare false dicerie che sostengono che i cani vengano maltrattanti durante l'addestramento, anzi, Pepe è coccolato come un bimbo!! E si vede dalla sua incontenibile esuberanza.

NB: Massimo Cucchiara organizza master tartufo con dimostrazione della ricerca del tartufo nei boschi con il suo cane, tutto l'anno, perché se la stagione del bianco volge al termine, poi arriva il marzolino e poi ancora l'estivo e poi si ricomincia....per info: ASSOCIAZIONE SANMINIATESE TARTUFAI
 Pranzetto veloce ma gustoso da Papaveri e Papere e poi via di nuovo a scuola dove ad attenderci c'era il sommo Ernesto Gentili, uno dei massimi esperti italiani in materia vino, per una lezione sugli abbinamenti vino e tartufo, con degustazione tecnica nel suo efficace stile sintetico, senza fronzoli, di 6 vini, 3 langaroli e 3 san miniatesi, tra cui uno strepitoso MAURLEO 2004 di Pietro Beconcini (sangiovese e malvasia nera) che mi sono precipitata a comperare in seguito, in un'enoteca del centro, anche se mi sono dovuta accontentare del 2010.

Stefano Pinciaroli

Dopo la degustazione, ci divertiamo sugli abbinamenti con due piatti preparati da Stefano Pinciaroli del ristorante Ps di Cerreto Guidi e  Paolo Fiaschi di Papaveri e Papere, San Miniato

Ernesto Gentili



 Prima di rientrare, ho fatto un giretto per il centro e non ho saputo resistere al richiamo del profumo del magnatum pico che varcava la soglia di un negozietto di delizie. Annuso, analizzo e acquisto esibendo tutta la conoscenza appena acquisita e me ne torno verso casa con un bel tartufetto di 30 grammi, crepi la miseria, così si sarebbe divertito pure mio marito la sera stessa e ne avremmo avuto anche per il giorno successivo perché già sulla via del ritorno, i neuroni si erano messi in moto, il tartufo si sarebbe sposato coi miei pesciacci!!
Dopo il canonico uovo serale, per il giorno post-master, il muggine era il primo candidato a cui avevo pensato e muggine è stato.  Avevo delle verze in casa, perfette sul tartufo perché come mi insegna l'amico aromatiere Donato Creti, cavoli, verze, broccoli sprigionano in cottura molecole solforate, prima fra tutte il Methyl Disulfide che si trova anche nel profilo aromatico del tartufo. Non ultimo l'aglio, la cui essenza è fatta per il 90% di molecole solforate...nessun dubbio dunque...non ho la più pallida idea delle componenti molecolari del muggine ma vado d'istinto......suona un'eresia MUGGINE E TARTUFO, lo so ma a me è piaciuto tanto e mi sono divertita molto nel provocatorio abbinamento tra RICCHI E POVERI!!!

VELLUTATA DI VERZE CON  MUGGINE E TARTUFO BIANCO DI SAN MINIATO

Ingredienti per 2 persone

200 g di cavolo verza, possibilmente le foglie più interne
1 spicchio medio d'aglio rosa
1 cucchiaio di colatura di alici
olio evo qb
acqua, poco sale
14-16 g di tartufo bianco di San Miniato *
1 muggine o cefalo Gaggia d'oro, da 500-600 g

* normalmente 7-8 g a persona vengono considerati una buona dose

Stufare l'aglio con un cucchiaio d'olio e un po' d'acqua in modo che si ammorbidisca rilasciando tutto l'aroma senza rosolare, aggiungere le foglie di verza lavate e tagliate a listarelle, far insaporire e cuocere con poca acqua finchè saranno morbide. Aggiungere la colatura di alici e frullare il tutto, allungando ancora con altra acqua se necessario fino ad ottenere una consistenza piuttosto fluida.
Pulire il muggine, cuocerlo a vapore per ca 10 minuti, sporzionarlo, salare poco, disporre le polpe ottenute sopra alla vellutata calda, irrorare con un filo d'olio evo a crudo e una grattata di tartufo bianco a lamelle sottili. E' importante servire il piatto ben caldo in modo da permettere al tartufo di sprigionare tutto il suo aroma.

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